GRANDANGOLO – PANORAMI CAPRESI
Chi sono e cosa fanno i Capresi nel mondo.
di Selene D'Alessio
Questa rubrica e’ nata per raccontare le storie di alcuni concittadini che, nonostante il fatto che vivano sparsi per il mondo, portano con se’ la nostra eredita’ di capresi. Spesso non se ne sente parlare, ma molti di loro, con duro lavoro e sacrifici, sono diventati gli ambasciatori di quello che di meglio abbiamo: i nostri talenti. E allora ricordarli in qualche riga non e’ che un piccolo e doveroso omaggio, che fa sentire noi tutti piu’ orgogliosi di chi siamo e da dove veniamo.
GIUSEPPE CASO.
A casa del dottor Giuseppe Caso, a Long Island, New York, sembra di essere in un angolo fuori dal mondo. E’ un cottage quasi inglese, distinto ma semplice, con un delicato giardino multicromatico ad accogliere, ed un orticello sul retro. Macchie di rughetta, zucchine, lamponi, fragoline, pomodorini col pizzo, e odori vari: proprio una bella ricchezza. I due Toy Terrier Willy e Nina si rincorrono scodinzolando, mentre in sottofondo l’inconfondibile Maria Callas intona “Casta Diva.” Lui ti accoglie con generosa ospitalita’ e ti offre dei pasticcini di mandorle che ha appena sfornato, ed una tazza di buon caffe’ italiano. I sapori di casa, la familiarita’, conciliano immagini di sedie di vimini del bar di famiglia, il Caffe’ Caso, in Piazza. Quasi si sentono i rintocchi dal famoso campanile. Quasi si vede la stoica Anna alla cassa, Ezio e Flavio al bancone, lo storico Alfonso tra i tavolini.
Questa casa e’ un buen refugio, un’oasi. Ricordi di viaggi, fotografie, libri. Ogni dettaglio e’ curato, amato. Le piastrelle della cucina le ha dipinte a mano lui. Cobalto e giallo: ricordano le belle mattonelle retro’ capresi. Parliamo dei tempi del liceo, che abbiamo frequentato alla Certosa. Le storie e i personaggi diventano miti forse per la distanza, forse perche’ i tempi e le persone di una volta avevano diversa sostanza. Ripensiamo alle aule decrepite (questo almeno non e’ cambiato) dove echeggiavano i passi del professor Bladier, le frasi storiche della signora Ruotolo. Ti guardava con quegli occhi verdi che tutto vedevano e avvisava: “Ragazzi! Io frije ‘e pisc’ e guard’ a jatt’…”
Eppure, nonostante questo ininterrotto legame con l’isola, il dottor Caso ci manca da oltre venti anni. Dopo una laurea con 110 e lode in medicina, si trasferisce in Scozia per una specializzazione in “Alimentazione e Metabolismo,” a cui segue un perfezionamento in Olanda. Il dottorato di ricerca nel 1997 in Scozia corona la serie di studi e riconoscimenti brillanti. Si parla sempre della “fuga di cervelli” dall’Italia. Le ragioni sono tante. Mancanza di opportunita’, baronati, poca attenzione istituzionale alla ricerca. Ma spesso c’e’ anche quel desiderio di molti promettenti studenti di perfezionarsi all’estero, di varcare le Colonne d’Ercole. Il dottor Caso ora lavora presso la SUNY University a Stony Brook, Long Island. E’ scienziato ricercatore e professore.
Gli chiedo a cosa stia lavorando. Lui mi parla di cellule staminali, enzimi, alimentazione e chimica. Gli brillano gli occhi, Si vede che ama quello che fa. Mi spiega gli esperimenti che conduce, i risultati promettenti, le implicazioni. Il suo ultimo ultimo lavoro s’incentra sul coenzima Q, o Ubichinone, che, cosi’ mi spiega, svolge un importante ruolo nella catena del trasporto degli elettroni. Mi fermo ai mitocondri. Per quanto sia complicato, mi sembra ovvio che tutto, anche nel funzionamento di questo coenzima, sia cosi’ sublimamente ordinato anche nel caos apparente. Dalla chimica passiamo a parlare di api. Tra i suoi hobby il dottor Caso annovera anche l’apicultura.
Il mondo delle api e’ un meraviglioso microcosmo perfettamente organizzato. Imparo delle cose che mi riempiono di meraviglia e rispetto per queste piccole, essenziali creature. L’ape regina e’ l’unica femmina fertile dell’alveare e vive in media 4 o 5 anni, mentre il fuco, il maschio, dura solo una stagione, il tempo di fecondarla. Ma sono le api operaie a “mandare avanti la baracca.” Ce ne possono essere decine di migliaia in un alveare e fanno di tutto: sono, tra l’altro, architetti, nutrici, spazzine, bottinatrici (raccolgono all’esterno quello di cui necessita la vita dell’alveare). Insomma, una stupenda comunita’ che vive e fiorisce in armonia. Fossero solo tutte le comunita’ umane cosi’ bene organizzate, e secondo l’universale principio del bene commune…
E Capri? “Andro’ in Primavera,” mi promette, e gli brillano ancora gli occhi. Eh, gia’, l’isola ha sempre quest’effetto. Mi ricordero’ sempre la nostra spedizione al Passetiello all’alba per fotografare orchidee, o quando andammo in gozzo col padre Bernardo a pescare tonnetti e vedemmo un branco di delfini al largo di punta Carena. Ecco, la nostra Capri. L’isola delle passegiate per sentierini nascosti, i Fortini, Dentecala. Gli amici, le cene, le chitarre. Un paio di sandali, una canoa e un panino pomodoro e basilico su uno scoglio a Ventrosa.
“Ti ricordi quella volta che…” e ci raccontiamo un’altra avventura. Ridiamo, e mi sorride con quel sorriso che conosco bene. Lo stesso sorriso di quella foto che conservo. Siamo lui, mio fratello Pietro ed io, al pranzo di Natale delle elementari. Io ho un grembiule bianco e la bocca sporca di salsa. Peppino sorride, proprio come adesso. Gia’, perche’ il dottor Caso, con le sue lauree, la sua trentina di pubblicazioni accademiche, i suoi successi professionali, per me restera’ sempre Peppino.