Fonte: Roma
Non sta mai ferma con il pensiero sempre in movimento per un’ idea, un’ organizzazione, un incontro. Medico chirurgo, specialista in Anatomia patologica e oncologica, Giovanna Carrillo (nella foto) è una gentile signora bionda che dopo 35 anni di attività al Cardarelli, anche come primario, una volta andata in pensione si è dedicata al volontariato con il Club Inner Wheel Napoli Luisa Bruni, del quale è presidente, organizzando riunioni conviviali, conferenze, anche un doposcuola ai Quartieri Spagnoli. Tra i suoi eventi anche presentazioni di storie e di libri, ultimo dei quali, a Palazzo Donnanna, ha coinvolto un numero imprecisato di ospiti e spettatori al termine del quale si svolge l’ intervista che, per il tanto fatto, non avrebbe fine!
Cominciando da lontano vuole raccontarmi la sua storia?
«Sono nata a Napoli, in una famiglia borghese di ceto alto, formale e maschilista, seconda dopo un fratello. Nella pre-adolescenza ero una bambina impaurita, molto timida e incapace di esprimersi, perché condizionata dalla famiglia, studentessa piuttosto mediocre a scuola e molto sportiva. A 15 anni un evento importante nella mia vita è stato quando i miei genitori hanno acquistato una villa ad Anacapri ed io… conosco anche il mio futuro marito! Dopo il liceo classico mi iscrissi alla Facoltà di Medicina.
Come e perché scelse questa disciplina impegnativa? Mio padre era chirurgo e mio fratello era già iscritto a Medicina e, dovendo scegliere la mia facoltà, fidanzata con il figlio di una famiglia molto in vista e volendo emergere scelsi medicina».
Chi ha influito, più di altri, nella sua formazione tanto da lasciare il segno?
«Nonostante tutto mio padre».
Se ha fatto la gavetta cosa ha significato? Un peso? Tempo perso?
«La gavetta è talmente fondamentale che, se non la fai, non arrivi da nessuna parte. L’ ho raccontato anche ai miei studenti».
Cosa ha significato per lei essere controcorrente o in ogni caso in anticipo sulle scelte delle sue coetanee?
«Moltissimo perché è stata la mia realizzazione».
Se di forza dobbiamo parlare, e se ce l’ ha, da dove la prende?
«Credo dal mio Dna perché la mia forza è veramente genetica poi, forse, in aggiunta, da mia nonna e anche dalle esperienze lavorative».
Si considera ambiziosa?
«Sì, ma non eccessivamente… Secondo me il giusto».
Una paura professionale – quindi nei suoi anni di medico – l’ ha mai provata?
«L’ ho avuta forse qualche volta, ma professionalmente mai! Fare il medico era il mio lavoro».
Da qualche parte del suo “io” ci sono rimpianti o rimorsi?
«Pochi piuttosto non mancano alcune nostalgie per i periodi più belli della vita e in particolare quando le mie figlie erano piccole».
Al lavoro in ospedale ha unito quello dell’ insegnamento. Cosa è stato per lei questo aspetto del suo lavoro?
«Ha contato molto, perché il contatto con i giovani aiuta moltissimo, anche per rendersi conto di come le nuove generazioni cambiano nei confronti degli adulti».
Quanto ha contato la cultura nel suo percorso di medico o anche in generale?
«Conta perché al di là delle nozioni, aiuta a capire le persone e, nel mio caso, i pazienti».
Se ripensa al suo lungo passato di medico, o anche di donna, chi l’ ha aiutata di più?
«Il carattere, e aver capito la psicologia degli uomini. Inoltre, mi ha molto aiutato il rapporto con le pazienti del tumore al seno, con le quali ero sempre io a parlare o ad ascoltarle, ricevendo un calore umano immenso».
Attualmente di cosa si occupa?
«Da due anni non lavoro più in ospedale come medico, ma mi sono dedicata al volontariato e da qualche tempo sono anche presidente del Club Inner Wheel».
Extra lavoro quali sono le cose che ama?
«La progettualità e il raggiungimento dei miei obiettivi. Ho sempre un’ idea in testa… forse sono un’ inquietudine fatta persona».
Cosa ricorda?
«Ho visto nella mia vita tragedie vere e anche per questo guardo avanti: sempre».
È ottimista?
«Assolutamente sì, vanitosa, forse un po’ permalosa, ma tendo a dimenticare, tenace perché non mollo mai».
La vita com’ è?
«Futura».
E Napoli?
«Una città indimenticabile».