Primo maggio a Capri. Cosa?
In tanti sono quelli che si domandano, senza però cercare risposta, il perché esista la Festa dei Lavoratori e molti di più, nella loro superficialità, si limitano a prendere atto che il primo maggio è segnato in rosso sul calendario. E forse questo può stare bene a chi se ne infischia di capire i perché della nostra società attuale.
Per anni – e ancora oggi mantiene un certo appeal – si sono tenuti i mega concerti del primo maggio nelle grandi piazze italiane, facendo smuovere grossissime masse di giovani in cerca di divertimento, seppur celebrativo di qualcosa. Ma di cosa? Ad oggi va per la maggiore una giornata di relax mordi e fuggi o, come quest’anno, la speranza di poter vivere un ponte per passare una o due notti fuori porto e svagarsi dal lavoro, appunto. È paradossale! Ciò che andrebbe esaltato in un giorno di così seria importanza, cioè il privilegio di essere lavoratori, viene invece esorcizzato appresso alla chimera dello svago.
Nulla da eccepire quanto al riposo e alle occasioni di incontro, quanto alla scoperta di nuovi luoghi da visitare o al tempo speso con maggior intensità appresso alla propria famiglia in un giorno di vacanza. Il punto è un altro: perché proprio il primo maggio e perché il lavoro andrebbe celebrato?
In primis, la data richiama degli avvenimenti oltreoceano (in Illinois, per l’esattezza) che portarono alla conquista delle otto ore lavorative, perché evidentemente le ore di lavoro erano di più. Il rosso sul calendario richiama il sangue versato da un bel po’ di persone, quelle che nella seconda metà dell’800 (di preciso 1886 e 1887) si misero in rivolta e furono tacciate di anarchia per cercare di avere riconosciuto un diritto sacrosanto. Sì… perché il lavoro non è schiavismo retribuito, non è obbedienza cieca a un padrone che fa il bello e il cattivo tempo, non è un regalo che riceviamo da chi può prenderci alle sue dipendenze.
Alla seconda domanda rispondiamo con quella bella carta costituzionale, scritta tanti anni fa, che ci ricorda senza timidezza che la nostra Repubblica, la nostra “Cosa Comune”, è fondata sul lavoro e tale deve restare. Fondata, cioè stabilita su di esso e da esso riceve significato l’impegno che ci migliora come stato, come gente che appartiene allo stesso paese. Nel celebrare il lavoro e chi lo esercita celebriamo noi come popolo, come nazione che trae la dignità dall’opera che compie e non la svende per una manciata di spicci.
Forse si dovrebbe usare il condizionale. Forse, nonostante ci troviamo nel terzo millennio, abbiamo ancora molto da capire, molto da riflettere, molto da ricordare e a mettere in pratica. Ma più di tutto dovremmo, nel primo di maggio, provare a sperare insieme. Sperare che la nostra società resti sempre fondata sul lavoro, senza la paura che i posteri ricevano in eredità, colpevole la nostra superficiale grettezza, una cosa pubblica affondata sul lavoro!