Giacomo Leopardi e l’Infinito
C’è una purezza che fa tremare ancora nell’idillio composto duecento anni fa da Giacomo Leopardi. L’Infinito ha molto da dire a chi, con estrema cautela intellettuale, decide di ascoltarlo. Perché? Il motivo risiede probabilmente nel fatto che noi, esseri comunque limitati, ricerchiamo costantemente di andare oltre le nostre limitate possibilità.
A quanto pare Leopardi non parla di un’emozione spirituale. Il desiderio dell’infinito è puro piacere intellettuale, dove la mente vaga e divaga, oltre “la siepe”.
Attraverso l’immaginazione, che la fa da padrona, il poeta si ritrova limitato nel suo sguardo da una siepe che gli impedisce di vedere l’orizzonte. Ma questa limitazione non diventa motivo di mormorio o di maledizione: Leopardi ama il citato limite spaziale, perché gli permette di andare oltre con la sua mente, scoprendo che l’intelletto non gli inibisce la possibilità di ricercare piacere nelle cose che non vede. Sarebbe fuori luogo provare a spiegare con mille parole una composizione poetica che invece è tutta da gustare solo provando a porre la giusta attenzione alle parole usate. Ma una piccola considerazione affiora inevitabilmente: i nostri limiti non sono, in fin dei conti, un dramma che possa affossare la nostra esistenza.
Tutti facciamo esperienza del limite, della demarcazione, delle marginalità, di un confine. Eppure non tutti riusciamo a vedere in questo un preludio a nuove possibilità, a nuove energie, a nuova vita. Tendiamo piuttosto ad abbatterci, a rammollirci, pensando che ormai non ci sia altro da fare che arrendersi all’ineluttabilità del “non si può”. È vero, nella vita alcune cose non si possono realizzare. È vero.
Ma altre sì. Altri desideri possono trovare realizzazione, possono lanciare le nostre persone verso nuovi orizzonti, verso successive occasioni ricche di ulteriori limiti e di altrettanti infiniti da contemplare.
A duecento anni dalla sua composizione, l’Infinito ci stimola ancora a lasciarci andare, a “naufragar”, a inabissarci nel mare di un pensiero silenzioso, quello dell’immensità.
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
L’Infinito letto da Vittorio Gassman https://www.youtube.com/watch?v=C4Je7YiOEo0