ANNA MARIA BONIELLO
CAPRI –“Stefano per noi è morto la seconda volta”, dice affranto Gino Federico, il padre di Stefano, il giovane caprese che in una luminosa mattina del 16 gennaio venne brutalmente ammazzato senza nessun valido motivo sul molo a Napoli di Calata di Massa. Nel ricordo degli amici, una folta colonia di giovani capresi, e nei pensieri dei suoi familiari, i genitori Gino e Teodolinda, i fratelli Marco e Albino e la fidanzata Ilaria, restano fisse le immagini di Stefano, un ragazzo colto, multilingue, che nel lontano Giappone, terra che amava come la sua seconda patria, aveva imparato la difficile arte degli origami, piccole creazioni di carta che Stefano regalava ai suoi amici a mo’ di personale ricordo. Il giovane caprese che aveva girato il mondo, vissuto in Francia, Giappone e Inghilterra, componeva poesie, alcune in lingua giapponese, che aveva imparato da autodidatta, praticava l’aikido, l’arte marziale che abitua ad allenare la mente e il corpo e a rimanere onesti e sinceri. Del Giappone amava la cultura, la storia, la filosofia della vita e la grande spiritualità orientale. Lavorava all’hotel Vesuvio a Napoli, a Capri era stato impiegato al Quisisana e al Capri Palace, alla Fayette a Parigi e a Londra. A distanza di un anno dalla morte di quel giovane dagli occhi sorridenti e dal sorriso dolce, il padre, prima di apprendere la tremenda notizia che suo figlio era stato brutalmente assassinato senza nessun motivo, stava preparando la pubblicazione di un libro che uscirà nel prossimo mese di gennaio in occasione del triste anniversario della sua scomparsa. La pubblicazione, che si intitolerà “Stefano Federico – la mia vita”, verrà tradotto in inglese, francese e giapponese da amici di famiglia. Stefano proveniva da una famiglia molto stimata a Capri. Suo padre aveva lavorato in banca fino alla pensione e suo fratello Marco, il primogenito, è giovane avvocato penalista, mentre Albino, il più piccolo, è neo-laureato in archeologia. “Spero che Dio ci darà la forza per andare avanti”, dice costernato il padre non appena appresa la notizia dell’arresto dei vigilantes. “Una notizia – sottolinea Gino Federico – che mi ha lasciato atterrito. Mio figlio è stato massacrato senza ragione e senza pietà da belve sanguinarie, un branco che ha disonorato la divisa che indossava e che ha poi cercato vigliaccamente di depistare le indagini con la storiella dell’infarto improvviso. Mi chiedo come fanno, dopo quello che è accaduto, a guardare negli occhi i propri cari e i propri figli”. “Questo mio amatissimo figlio – aggiunge affranto Gino Federico – è capitato nel posto sbagliato, nel momento sbagliato e soprattutto ha incontrato le persone sbagliate”. E sulla svolta delle indagini, che è stata possibile grazie alla testimonianza di un marittimo, alla meticolosità del dirigente della polizia marittima e all’inchiesta che fin dai primi momenti era stata aperta dalla Procura di Napoli, il padre della vittima dichiara: “L’altruismo e la serietà di questi due esemplari cittadini, il testimone del vile pestaggio e il primo dirigente della polizia di Stato Silvestro Cambria, fanno sì che la morte di mio figlio non resti impunita. E a loro va tutta la mia gratitudine e riconoscenza”. E dopo le ordinanze di custodia cautelare che hanno portato in carcere a Poggioreale i quattro vigilantes accusati di omicidio preterintenzionale aggravato in concorso, il fratello della vittima, Marco Federico, ha annunciato che tramite il loro avvocato Fabio Greco si costituirà insieme ai suoi familiari parte civile nel procedimento a carico degli imputati.