Riceviamo e pubblichiamo
da Raffaele Vacca
INVITO ALLA CONTEMPLAZIONE
Nel nostro tempo del fare sempre in gran fretta, spinti dagli artificiali e mutevoli venti del mondo, e di sempre nuove forme di comunicazioni per immagini, da molto tempo anche la contemplazione è caduta nell’oblio. I più non sanno che cosa sia. Alcuni ritengono che riguardi solamente la Chiesa. A quasi tutti sembrerebbe paradossale il sentir dire, anche nella consapevolezza che i Greci la chiamavano theorìa (conoscenza che abbraccia l’intero essere ed il trascendente), che è uomo incompleto chi non l’attua. La contemplazione è l’osservare attentamente, con intima ed intensa partecipazione, quel che attrae e suscita ammirazione. Aiuta a scoprire (o a riscoprire) verità sul vivere, e dona sicurezza, serenità, bellezza, fortezza. Per lo più non è statica, ma dinamica, giacché ispira, guida, sorregge l’azione, rendendola efficace. Luogo grandemente propizio alla contemplazione è l’Isola di Capri.
Se ne avvide Charles Gounod quando, nell’estate del 1840, mentre aveva ventidue anni, vi soggiornò per due settimane, avendo con sé il Faust di Johann Wolfgang Goethe. Traeva vive e profonde impressioni osservamdo il contrasto tra le rocce dirute e le verdeggianti balze, che rendevano Capri, nello stesso tempo, selvaggia e ridente, ed ascoltando per ore, durante le notti, il “silenzio vivo”, seduto in cima ad una roccia scoscesa. Da qui guardava sia l’orizzonte sia la volta del cielo, letteralmente palpitante di stelle, che sembrava un altro oceano, le cui onde erano fatte di luce, tanto lo scintillio degli astri riempiva e faceva vibrare lo spazio infinito. Furono contemplazioni che gli ispirarono folgorazioni musicali per il suo Faust, che concluse nel 1859, e che è uno dei capolavori mondiali dell’opera lirica. Nel Seicento ad avvedersi che Capri invita alla contemplazione era stata Prudenza Pisa, che a quarantotto anni aveva cambiato il proprio nome in Serafina di Dio.
Lo rivela, tra l’altro, nel brano trascritto da Nicolò Sguillante e Tommaso Pagani nella biografia a lei dedicata, e che nel 1998 ho riportato ne Il Mulino di Suor Serafina, intitolandolo Cantico. Ciò pensando a quello celeberrimo di San Francesco d’Assisi che, come Suor Serafina, fu eccezionale nella contemplazione e nell’azione. Contemplazione è attiva partecipazione a quello che si osserva e si ammira. E ben ne era consapevole Suor Serafina quando, all’inizio del Cantico, rivela che da ogni cosa che mirava traeva “meditazione”. Come riporta, in Radici culturali e spirituali dell’Europa, Giovanni Reale (Premio Capri-S. Michele Arte della XXIV edizione del 2007), il drammaturgo Eugène Ionesco, nel discorso per l’inaugurazione del Festival di Salisburgo, pubblicato in italiano nel 1989, sostenne che siamo in un tempo nel quale gli uomini, guardando solo alla terra, che cercano di possedere e di industrializzare, si sono rinchiusi in essa come in una gabbia, e non sanno più guardare verso il cielo. Hanno dimenticato che si possa guardare verso il cielo.
Suor Serafina invece, già all’inizio del Cantico, guarda verso il cielo, che vede “così bello, stellato”: guarda verso la luna e verso il sole, senza il quale niente sarebbe possibile produrre sulla terra. Ed il guardare al cielo la riporta a Chi, avendo la massima grandezza e la massima potenza, ha creato “tanto dal nulla”, e lo sostiene; il guardare al sole la riporta a Gesù, che è il vero sole dell’anima. Suor Serafina non guarda solamente verso il cielo, ma anche verso la terra, sia a quella con alberi e piante che è ben coltivata e produce frutti, sia a quella selvaggia, incolta e piena di spine, che nulla produce, nonostante l’influsso del sole. Guarda alla pioggia, senza la quale tutto diventerebbe secco; guarda all’acqua, che viene dal mare e ritorna verso il mare; guarda alle tempeste che sradicano alberi, ed alle quali succede “la tranquillità”, che Giacomo Leopardi chiamò “la quiete”.
Guarda alla legna posta sul fuoco e vede che ci vuole tempo prima che esso prenda la verde, mentre presto si consuma la secca. Scopre che da una piccola scintilla di fuoco, posta sotto un fascio di legna che è stato ammassato, si sviluppa un gran fuoco con la vampa che va in alto. Tutto la riporta a Dio, a Gesù, all’anima che nulla produce se non la si coltiva, e se su di essa non scende la Grazia divina. Nel Trecento e fino alla metà del Novecento, nell’Isola di Capri le cucine erano alimentate con legna dei campi e della montagna. La stessa legna ardeva nei camini, che riscaldavano case ed altri ambienti. Talvolta il fuoco si conservava sotto le ceneri. Or questo non c’è più, così come non ci sono più animali che pazientemente lavorano per l’uomo. Ma l’Isola è sempre coperta da un cielo che a notte, spesso, scintilla di stelle; è sempre circondata da un mare, a tratti profondo, ora calmo, ora mosso, ora agitato; ha sempre alberi sulle colline e in campi, or ben coltivati, or che sembrano abbandonati.
Ha cose, anche minime, antiche e nuove, che contemplandole portano alla spiritualità. É sempre luogo che dal contingente porta all’essenziale, dal finito all’infinito. E’ sempre luogo che invita a dare una risposta al mistero del vivere, durante la propria esistenza terrena che non si ripeterà più. A questo mistero Prudenza Pisa-Suor Serafina di Dio dette ben presto la sua risposta, vivendo poi sempre in fedeltà ad essa, nonostante ostacoli ed avversioni di vario genere.
Raffaele Vacca
NOTA
La breve considerazione riprende il testo Contemplazione a Capri, scritto per l’Incontro di fine d’anno 2015, stampato a Sorrento.