ANNA MARIA BONIELLO
CAPRI –
Pesante accusa nei confronti della Costa Crociere da parte di uno dei nove naufraghi capresi della Concordia. “Siamo stati lasciati in balia di noi stessi con il personale che non capiva né l’italiano né l’inglese e con una voce in altoparlante che ci rassicurava che era un blackout passeggero e ci invitava a rientrare nelle cabine”. A parlare, anche per i suoi amici, è Francesco Santarpia, 25 anni, ancora sotto choc. Nelle sue parole rabbia ed amarezza per essere stati completamente abbandonati. Francesco insieme alla moglie Valentina di Anacapri sono due dei nove capresi scampati alla tragedia. Un viaggio in mare nel pieno dell’inverno che doveva essere una parentesi prima di affrontare il lavoro della stagione estiva per le tre coppie di amici. Insieme a loro, c’erano Maurizio e Giuseppina Pollio ed Enrico e Francesca Ariviello, con i piccoli Sofia, Salvatore e Luigi tutti di età inferiore ai due anni. Un terribile scenario si delinea nel racconto che Francesco e Valentina fanno agli amici e ai familiari una volta rientrati sull’isola. “Siamo saliti a bordo – incalza Francesco – venerdì alle 16 e smentisco assolutamente il fatto che abbiamo avuto informazioni su come comportarci in caso di pericolo. Ad accoglierci sul ponte solo le hostess che ci hanno dato il benvenuto e ci hanno assegnato la cabina al ponte 7. Fortunatamente, però, al momento dell’impatto, cui ha fatto seguito un boato assordante e uno scossone allo scafo che ci ha portato alla mente lo scontro del Titanic con la punta dell’iceberg, ci trovavamo in prossimità del teatro che è ubicato al ponte 4: al posto giusto nel momento giusto perché è in quel luogo che si trovavano le scialuppe di salvataggio sulle quali siamo riusciti a salire dopo un’ora di terrore”. Un’ora durante la quale i sei anacapresi con i loro bambini in braccio hanno cercato di capire cosa stesse accadendo mentre la nave, racconta Francesco, andava man mano inclinandosi sul lato e intorno si registravano scene di caos. “Una vera e propria torre di babele – continua Santarpia – con persone di diverse nazioni che cercavano aiuto, con il personale di bordo che non parlava né in italiano né in inglese. Tra il fuggi fuggi generale io e i miei amici abbiamo notato che le hostess già indossavano i giubbotti di salvataggio; a quel punto siamo saliti a piedi nei nostri alloggi per recuperare i preziosi salvagenti sia per noi che per i bambini. Poi il black-out totale, mentre intorno si levavano voci in più lingue con richieste di aiuto, urla terrorizzate dei bambini e sul ponte dove avveniva quasi un arrembaggio alle scialuppe. Una folla enorme con anziani sulle carrozzelle e persone disabili che non riuscivano a salire a bordo. Scene apocalittiche, momenti di panico che saranno sempre impressi nei nostri ricordi”. “Una volta sulla scialuppa – continua il giovane naufrago anacaprese – abbiamo notato che non c’era nessuno al timone fino a quando sono saliti un uomo con abiti da cucina, un asiatico, insieme a un altro inserviente, che si sono piazzati alla guida e ci hanno portato in salvo a terra dove già si erano assiepate un migliaio di persone”. “Va sottolineata l’assenza dei responsabili della Costa che abbiamo visto solo al rientro a Civitavecchia. Un solo funzionario per oltre 4mila naufraghi. Siamo ben decisi – conclude Francesco – a intraprendere le azioni legali nei confronti della società che dovrà risarcirci per i danni materiali e soprattutto morali che abbiamo subito insieme ai nostri figli”.