Anna Maria Boniello – Antonino Pane.Su un’isola dove impera il Dio denaro anche gli scogli possono diventare pepite. Capri e Anacapri, due Comuni stretti su un lembo di pietra dove tutto è proibito ma tutto, piano piano può diventare possibile, se la tenacia supera l’orgoglio degli isolani proteso, sempre e comunque, a difendere il loro territorio. Una guerra antica quella che si combatte sull’isola Capri: voglia di possedere di chi arriva e resta incantato da un’atmosfera senza eguali; voglia di conservare quello che resta, con la consapevolezza che solo la difesa a oltranza del territorio può tenere in vita quella gallina che su quest’isola le uova le ha sempre fatte di oro. E allora bisogna selezionare per alimentare il mito; bisogna far arrivare nomi noti e tenere lontani capitali di dubbia provenienza. E così in queste settimane occhi puntati soprattutto sul Castiglione, una fortificazione realizzata su muri romani dai Borboni che domina l’isola dall’omonimo sperone di roccia. Trentacinque milioni di euro, il prezzo ufficiale ma si vocifera di un accordo vicino, molto vicino, per una cifra leggermente inferiore. Ma i milioni in ballo ai capresi non importano più di tanto; tutti sull’isola vogliono solo sapere chi lo prende. Già, chi lo prende? Chi c’è dietro? Cosa si muove dietro le quinte? Da Capri ad Anacapri le domande sono sempre queste. In ballo, in questo fine agosto, ci sono presidi importanti come il 49% del porto turistico; ville esclusive, i costoni rocciosi di Anacapri. Il pericolo più grosso viene proprio dal porto turistico. Invitalia, la società partecipata dal Tesoro, ha deciso di vendere la quota di minoranza, il 49% appunto. Il 51% è saldamente in mano al Comune di Capri. Il rischio, fiutato subito dall’amministrazione comunale, è che la quota di minoranza possa finire in mano a dei privati. Gli appetiti sono tanti. Il giro d’affari del porto turistico di Capri supera di poco i cinque milioni di euro all’anno; un business rilevante visto i pochi spazi a disposizione. Ma c’è chi giura che anche questa volta gli euro contano poco, pochissimo. Diventare soci vorrebbe dire scalare a bracciate veloci la hit della notorietà in Piazzetta; e, perché no, avere voce quando si tratta di trovare il posto barca all’amico influente. Il porto turistico di Capri è un albergo a cinque stelle che espone perennemente il cartello “tutto esaurito”: anche decidere un ingresso nuovo può essere un modo per gestire potere. Ma tutto questo al Comune di Capri non vogliono proprio sentirlo: dobbiamo evitare, ed eviteremo, ha ribadito il sindaco Gianni De Martino, che la quota di minoranza finisca in mani private. Su questo fronte un alleato importante è il comune di Anacapri che ha inviato un’offerta, vuole per se quel 49%. “Così l’isola gestirà interamente il suo porto turistico”, ribadisce il sindaco di Anacapri, Franco Cerrotta. Bisogna precisare a questo punto che l’offerta migliore, comunque, dovrà fare i conti col diritto di prelazione del Comune di Capri che potrebbe accettare Anacapri come partner o, potrebbe allearsi con Anacapri, nel caso in cui bisogna fronteggiare offerte più alte. In questa strategia è fondamentale avere fondi a disposizione. E per questo Anacapri ha scelto di alienare un costone di roccia acquistato 2007 ad un’asta pubblica per poco più di 400mila euro. Lo ha fatto con un avviso pubblico: il costone di macchia mediterranea è stato acquistato da Gianfranco D’Amato, fratello di Antonio, ex presidente di Confindustria, per 2 milioni e 800mila euro. Insomma il Comune ha guadagnato in sette anni 2 milioni e 400mila euro. “Si tratta – spiega Cerrotta – di un costone che si trova a monte del sentiero che porta al faro. Una zona super tutelata dal piano paesaggistico dove non è possibile neanche spostare un sasso”.
I sassi devono restare esattamente dove sono. Questa la filosofia di vita di Gianfranco D’Amato. “Io sono innamorato della parte selvaggia di quest’isola, voglio che resti esattamente com’è”. Gianfranco D’Amato possiede una bellissima villa, Il Cappero, su un altro versante di Anacapri. Preoccupato per eventuali aggressioni al territorio ha sviluppato l’associazione l’Oro di Capri, una onlus che mette insieme i contadini rimasti sull’isola. “Nell’associazione ci sono due agronomi – precisa – pronti a dare consigli per la coltivazione biologica degli ulivi. Anacapri è sempre stata una roccaforte nella produzione dell’olio, dobbiamo evitare che il gusto di questo lembo di terra venga disperso”. Ad ascoltare Gianfranco D’Amato sembra che conosca uno per uno gli ulivi rimasti ad Anacapri. “Sono un patrimonio di tutti, se aiutiamo i contadini li salviamo e, soprattutto, non snaturiamo il territorio”. Ma non solo l’associazione. D’Amato vive con le antenne sempre dritte. Non appena sa di terreni in vendita fionda i suoi emissari. E così ha già comprato alcuni appezzamenti di terreno. E, udite udite, lo dice lui e lo conferma il sindaco: appena acquistati ha fatto demolire alcuni manufatti che erano state realizzati abusivamente. “Vogliamo solo coltivare l’olio di Anacapri – aggiunge – ed evitare che questo lembo di roccia sia ulteriormente aggredito”.
E così Gianfranco D’Amato ha conquistato il cuore di Anacapri. “Non sono nato in quest’isola – dice – ma è come se questo fosse il mio nido e cerco di contribuire a conservarlo come meglio posso”.
Già, conservarlo. A guardarla dal mare questa costa ci sono tratti dove “conservare” non è riuscito sempre benissimo. È il caso, ad esempio, dello stabilimento Nettuno dove le cabine di legno hanno preso forma col cemento. Il sindaco taglia corto: “Si tratta di una concessione edilizia regolarmente approvata dalla Soprintendenza paesaggistica e da quella archeologica. Il permesso a costruire è il n.45 del 2014 e i pareri delle Soprintendeze sono rispettivamente il numero 10346 (ambientale) e 13274 (archeologica). La destinazione dell’immobile – chiariscono al Comune – è di stabilimento balneare ed i titoli rilasciati non presuppongono alcuna modifica alla destinazione d’uso. Insomma stabilimento balneare è, e stabilimento balneare deve restare.
L’isola protegge se stessa, dunque. In ritardo, forse, ma ora non vuole più sbagliare. I capresi hanno capito che lasciare campo libero a chiunque può diventare molto pericoloso. E lo hanno capito anche gli amministratori comunali che sono passati dalla difesa del nome alla difesa del territorio. Come dimenticare che Capri face causa e vinse contro un’ importante azienda di tabacco e una casa automobilistica perche aveva usato impropriamente il nome dell’isola. In quegli anni gli abusi edilizi si guardavano poco ma si proteggeva il nome. Oggi tutti, o quasi, hanno capito che difendere solo il marchio Capri non basta più.