AVVENTURA AL PASSETIELLO
di Renata Pisaturo Ricci
Sin dalla prima volta che misi piede sul mitico scoglio avvertii subito la malia che si sprigionava da quelle rupi ricoperte da una lussureggiante vegetazione sin nei più reconditi anfratti, da quelle vistose, sfacciate inflorescenze dagli accesi colori e dai prepotenti tralci trasbordanti dai giardini delle ville. I loro aromi balsamici e un profumo di tigli e di gelsomino inondavano l’aria di quella deliziosa scorciatoia per il paradiso, che è via Mulo. Me ne innamorai a prima vista – come del resto accade a tutti- nel lontano 1946 quando, nel piccolo vaporetto di linea, che faceva servizio fra Napoli e Capri, mettemmo piede per la prima volta, mio marito ed io, nell’isola azzurra. Pensai fra me e me: “Un giorno comprerò qui una piccola casa” L’azzurrina sirena dormiente lì, sul filo dell’orizzonte di un blu intenso, era la prima testimonianza della bellezza del nostro golfo sulla quale si posavano i miei occhi al mattino, allorché aprivo la finestra della mia camera da letto. Le bombe dell’ultimo catastrofico bombardamento sul porto di Napoli avevano finito con l’abbattere completamente l’ala sud del palazzo Padovani, in via Generale Orsini e l’albergo Miramare antistante per cui, dalla mia casa di fresca sposa, vedevo tutto il lato della costa di Sorrento e l’Isola.
La traversata era stata allietata dalle acrobazie di una gioiosa coppia di delfini, che ci aveva accompagnati quasi fino al porto per poi scomparire nelle Bocche di Capri. (È recente la bella notizia del loro ritorno nella nostra baia). I colori dell’isola, la trasparenza e lo straordinario turchese del mare antistante la sassosa spiaggetta dello Scoglio delle Sirene, nostra prima tappa; tutto quel caleidoscopio di panorama circostante nel quale la natura sembrava riconoscersi in essa e nel quale l’uomo, a sua volta, si riconosce in essa, si dispiegava sotto i nostri occhi facendomi capire che l’isola sarebbe stata per sempre il mio luogo dell’anima.
Da quell’anno divenne la sede delle nostre vacanze e dai primi alberghi passammo ben presto alla casa presa in affitto tutto l’anno ed in seguito comprata . Il mio sogno si era avverato!
La nostra prima casa si trovava ai Due Golfi. Alle nostre spalle, la pittoresca Via Torina s’inerpicava subito nella parte alta dell’isola e nei primi boschi ai piedi del lato orientale del monte Solaro, che ci sovrastava con la sua alta parete oscura, troppo presto abbandonata dal sole. Le nostre serate, avendo i figli piccoli, non erano affatto mondane e spesso venivano trascorse in lieta compagnia dei proprietari della nostra casa, una coppia molto simpatica. Le nostre chiacchierate finivano col cadere quasi sempre sull’isola e sulle sue recondite bellezze ignorate completamente dai turisti di passaggio. Grotte inesplorate e private che fungevano da fresche cantine per i proprietari dei terreni, all’infuori della novantina di antri naturali conosciuti; passaggi segreti, ville nascoste nel verde dei boschi, della cui presenza ti accorgi solo quando ci sbatti contro (come avremmo avuto modo di constatare), torri abbandonate, reperti preistorici e così via. Tutti questi racconti dei nostri ospiti acuivano in noi il desiderio di esplorare, di conoscere a fondo l’isola.
L’amore per l’avventura da parte di mio marito e quello, da parte mia, per l’arte di ogni genere, sia quella creata dall’uomo, sia quella creata dal passare dei secoli, (non è un’opera d’arte una stalattite, un arco naturale, un masso scolpito dall’erosione?) ci avevano attirati l’un l’altro fin dal primo momento.
Fra le tante bellezze e luoghi celebri, il discorso cadde, una sera, sul Passetiello, una via diretta per raggiungere la cima del monte Solaro, che iniziava poco più su della nostra casa. Per agevolare i cacciatori che si recavano in cerca di selvaggina nei fitti ed alti boschi del monte, era stato impiantato sulla roccia un percorso da alpinisti con solidi grappini ad U conficcati nella dura parete del monte. L’argomento era appassionante e ci incuriosì.
Conoscevamo, per esserci ben documentati, tutto quello che c’era da sapere sul magico scoglio ed anche la storia di questa fenditura nella roccia di calcare durissimo, in fondo al burrone che, sprofondando dal ciglio del Monte Solaro in un orrido di meravigliosa bellezza, è stata la più antica via di comunicazione fra Anacapri, abitata originariamente dai Lestrigoni e Capri, colonizzata dai Teleboi venuti dall’Acarnania. Al tempo dei Fenici era stata la maggior arteria di traffico fra i due borghi.
Eravamo a conoscenza delle traversie fra le due comunità acerrime nemiche e della “petriata”, ancora in vigore nel secolo scorso: un’ istituzione che è consegnata negli annali della storia dei Registri Angioini . Da questi, infatti, si apprende come, ai tempi del Re Roberto d’Angiò, gli Anacapresi dall’alto della gradinata augustea “pigliarono a pietre la SS Croce portata in processione dai Capresi “ Più tardi i fratelli di sopra costruirono una torre per difendersi dai fratelli di sotto. In tutti i tempi i due borghi lottarono fra loro per l’autonomia amministrativa., per il pagamento delle contribuzioni comuni, per la ripartizione della farina, per la pesca, per il governatore, per ogni occasione si presentasse. La barriera che separava allora materialmente ed ora solo idealmente i due paesi venne designata con una frase di poche parole sono tutto un programma: ”La porta della differencia”…
Nell’anno 1493, infierendo la peste, gli Anacapritani, (questo l’antico nome), per proteggersi dal flagello, pensarono di sbarrare bene l’entrata della loro terra con una robusta porta che ne chiudesse l’accesso. I Capritani, però, di notte l’andarono a sfondare gettandola giù dal sottostante precipizio.
Nell’800 il Soprintendente ai Beni Ambientali volle riattivare la strada, da un secolo impraticabile. Appena riaperto il valico, il Consiglio Comunale di Anacapri, riunito d’urgenza, ne deliberò la chiusura facendolo ostruire, nottetempo, con una muraglia di pietre a secco.
Ebbe, il Passetiello, un suo momento di celebrità per essere servita, nella notte del 4 ottobre 1808, al passaggio e al salvataggio delle truppe di sir Hudson Lowe, inseguito dai soldati del re Gioacchino Murat e del generale Lamarque, sbarcati sull’isola; ma questa è un’altra storia
Tutte queste traversie, rievocate in terrazza con i nostri vicini in una di quelle serate capresi in cui gli effluvi delle alghe risalenti dalla Piccola Marina si fondono con il profumo dei tigli dei Due Golfi e dei gelsomini dei giardini di Via Mulo, acuirono il nostro desiderio di scalare, di penetrare, dominare il monte, raggiungere la cima impervia e già ci vedevamo lassù gareggiare con le nuvole capricciose di fine estate, mobili, fluide, infilzarle ….
I consigli di Romolo e di sua moglie furono vani e l’indomani, dopo la siesta, muniti di solide scarpe e bastoni ci avviammo su per la salita della nostra strada, prendendo poi a destra il sentiero indicatoci. A stento riuscivamo a passare in quel fitto bosco di lecci e querce inondato da sterpaglie che a malapena ci facevano intravedere il cammino. Arrivammo dopo un po’sotto la parete a picco del monte, ormai in ombra. La parte alta era ancora inondata dai raggi obliqui di un sole ramato. Ci guardammo un po’ costernati, ma lo spirito d’avventura prevalse
-Vai tu . Io ti sostengo dal basso, mi disse mio marito.
Iniziai quindi la salita aggrappandomi a quei grappini come un’alpinista, ma non avevo fatto i conti con la debolezza delle mie braccia che non mi aveva mai permesso di arrampicarmi sulla pertica nelle ore di ginnastica nella mia carriera scolastica e neanche sul più facile degli alberi da tenera fanciullina…..e mio marito era nelle stesse condizioni. La paura incominciò ad impossessarsi di me.
– Non ce la faccio! Non ce la faccio!, incominciai a gridare mentre un sudore freddo mi
colava dal viso come una fontana .
– Scendi, allora , diceva mio marito dal basso.
Ma come fare? Se avessi lasciato la presa della mano sinistra più alta, sarei caduta nel reggermi con la sola mano destra.
-Aiuto! Aiuto! Ma chi ti sentiva in quel bosco?
-Corri! Vai a chiamare Romolo. Deve essere a casa ora!
E mentre io concentravo tutte le mie forze in quelle mie povere braccia stringendo i denti, arrivò il mio salvatore seguito da mio marito trafelato.
-Mannaggia! Ve l’avevo detto! Lasciatevi cadere sulla mia spalla , non abbiate paura. E così
feci, adagiandomi dolcemente sulla spalla sinistra dell’erculeo amico.
– Signò, se volete andare al Solaro, prendete l’autobus per Anacapri, poi la seggiovia e, una
volta lassù, vi ammirate il panorama e poi, fra tutti i sentieri, prendete quello che vi porta dritto dritto nel bosco in direzione della chiesa di Cetrella…..
Renata Ricci Pisaturo