“APRAGOPOLIS”: LA REGGIA DI AUGUSTO
Renata Ricci Pisaturo
“Apud insulam Capreaes veterrima ilicis demissos iam ad terram languentesque ramos convaluisse adventu suo, adeo laetatus est ut eas cum re publica Neapolitanorum permutaverit, Aenaria data.” Così scrive Svetonio nella sua “Vitae Caesarum”.(2,92) Che il vecchio elce languente riprendesse vigore all’arrivo dell’imperatore Cesare Ottaviano Augusto nell’isola di Capri e che tale favorevole presagio lo convincesse a sottrarre l’isola al dominio di Napoli per portarla sotto quello di Roma Imperiale, è certamente una leggenda. Si deve attribuire il miracolo solo ed unicamente alla furberia degli abitanti davanti a siffatto personaggio, subito amato per la sua semplicità, per le sue buone maniere e per i moltissimi benefici apportati.
La verità è che l’Isola conquistò l’imperatore con la sua bellezza incontaminata e con il fascino della sua malia, con quel senso di gioia, di benessere che si espande per tutto il corpo e che è avvertito da tutti quelli che vi mettono piede per la prima volta.
Approdato nell’isola nel 29 a.C. dopo la battaglia di Azio, scelse di costruire la sua reggia sul versante nord dell’isola per la vicinanza all’approdo e per la sua collocazione all’ombra, in un luogo poco ventilato, fattore favorevole alla sua cagionevole salute stremata da guerre e lotte contro i suoi nemici politici e non.
La vita della Capri romana ha inizio proprio col suo arrivo. Nutrito di cultura greca grazie gli insegnamenti di maestri quali Apollodoro di Pergamo, Atenadoro di Tarso e il filosofo Areo di Alessandria, l’imperatore trovò sul posto un popolo di origini e costumi greci con proprie tradizioni e un proprio governo perché i Teleboi che, guidati dal mitico re Telone, avevano istituito sull’isola il loro regno, provenivano dalle coste dell’Acarnania e dalle isole greche dello Jonio.. Ancora erano intatte le megalitiche mura greche che si estendevano da Cesina al Castiglione, racchiudendo l’antico centro abitato nel V e nel VI secolo, i cui resti sono oggi visibili dalla terrazza della funicolare e alle falde del Castiglione. Augusto dovette essersi invaghito proprio di questa presenza greca per decidersi a stabilirsi sull’isola, anche se a tappe alterne e non definitivamente.
Chiamò la sua reggia “Apragopolis”, la città del dolce fare niente, a causa dell’esistenza oziosa dei suoi cortigiani che vi si ritirarono e con questo nome venne battezzata tutta l’isola o perlomeno la parte di essa (oggi “Il Monacone”, probabile residuo di un’area più vasta sprofondata per bradisismo), dove sembrava fosse situata anche la tomba del suo fondatore Masgaba, il “Kristen”. La villa imperiale, il Palatium, oggi ribattezzata Palazzo a mare, era costituita da un grande impianto edilizio che si estendeva per circa 850 metri lungo la costa, con porto, piscine e una pittoresca piccola spiaggia di ghiaia mista a sabbia, sovrastata da un’alta scogliera che ne proteggeva i ruderi. È occupata oggi da uno stabilimento balneare, (Bagni di Tiberio) raggiungibile più agevolmente via mare con un servizio di barche da Marina Grande o via terra da una strada che si diparte nei pressi della vecchia cattedrale di San Costanzo. Oggi tutta quella parte di Capri è sommersa dal cemento lì dove una volta erano i più bei vigneti e limoneti dell’isola. Ne è rimasto un campione: il noto ristorante “Paolino ai limoni”. Nell’entroterra la reggia si sviluppava sull’area oggi occupata dal campo sportivo e da proprietà private.
Nel Settecento fu scavata e depredata di pavimenti, capitelli e lastre marmoree dall’archeologo austriaco Norbert Hadrawa, al seguito di Ferdinando IV di Borbone, amante, come sappiamo, di reperti antichi. Subì ulteriori danni durante l’occupazione inglese agli inizi dell’Ottocento, quando la parte centrale sul mare fu livellata e trasformata in piazza d’armi con opere di fortificazioni e postazioni d’artiglieria. L’attività edilizia alle spalle ha poi trasformato ulteriormente l’originario aspetto dei luoghi.
Di essa oggi resta ben poco: una grande esedra, forse un ninfeo semicircolare, che si apre sul mare, affiancata da un’importante opera muraria a protezione delle antiche vestigia, i resti di alcune piscine e un piccolo molo che dà accesso alla summenzionata spiaggia di ghiaia e al complesso balneare. Sono queste le uniche testimonianze attualmente visibili di quello che era il quartiere marittimo della grande villa imperiale. A monte di questo quartiere erano dislocati le vasche per la raccolta dell’acqua, i giardini, gli alloggi per la servitù e gli appartamenti reali.
Recentemente sono venute alla luce, nella proprietà privata di don Vincenzo Simeoli, uno dei parroci dell’isola, delle arcate di sostruzione, ossia la struttura di base, di sostegno, ad una costruzione sovrastante. Si tratta di una muratura di ben sette ambienti ad archi con pilastri in pietrame, chiusi da una parete di fondo realizzata in conci tufacei e pietrame. Le ultime tre arcate, abbastanza profonde erano un tempo forse destinate a ricovero di animali. Su queste arcate augustee è stato effettuato, naturalmente sotto la supervisione e l’autorizzazione della Soprintendenza Archeologica di Napoli, un importante intervento di restauro con una parziale ricostruzione illustrata dal direttore dei lavori, l’architetto Giovanni Cario, nella cerimonia di presentazione alle autorità cittadine.
Una lapide a ricordo recita così: “MEMINI /Un piccolo tassello di storia / caprese recuperato per amore / della sua isola da/ don Vincenzo Simeoli/ 2010.
Un’altra lapide è stata posta nel viale che dal nucleo centrale della villa augustea raggiungeva il giardino (xystus), l’Efebeo nel quale gareggiavano, indossando tuniche greche e romane, gli efebi, i ragazzi, tutti di bella presenza dei quali l’imperatore amava circondarsi perché, come racconta Svetonio, non sopportava gente storpia o brutta. Così recita la lapide: CAESARUM DOMUS / AUGUSTI PRAETORIA IPSE / QUAMVIS MODICA, NON TAM/ STATUARUM TABULARUMQUE/ PICTARUM ORNATU QUAM/ XYSTIS ET NEMORIBUS/ EXCOLUIT (SVETONIUS. VITA AUGUSTI 2, 72) Non lusso, statue e dipinti, quindi, per lui che, debole di costituzione, non poteva sopportare il freddo e il caldo eccessivi, ma giardini e ombrosi boschetti nei quali amava passeggiare sempre col capo coperto da un cappello a larghe tese. Amava ornare le sue case con oggetti curiosi per antichità e rarità, ci racconta il suo biografo Svetonio: resti di animali mostruosi scoperti nell’isola ( chiamati ossa di giganti) ed armi di eroi. I racconti di Svetonio vennero confermati dai lavori di scavo del 1905-1906 quando, per un ampliamento dell’Hotel Quisisana, vennero alla luce, sotto uno strato di materiale eruttivo e un banco di argilla gigantesche ossa di mammiferi estinti come l’Elephas primigenius, il Rhinoceros Merckii e l’Ursus spelaeus.
Il camminamento poi immetteva sulla rampa con gradini di marmo che conduceva al quartiere marittimo al centro del quale si apriva la grande esedra-ninfeo.
Negli anni Sessanta, nell’area dove oggi è il campo sportivo era ben visibile dalla stradina che dalla Chiesa di San Costanzo porta alla Villa imperiale, un ambulatium coperto, con segni di affreschi sulle pareti. La Sovrintendenza ai Beni Archeologici avrebbe voluto restaurarlo ma ci fu una protesta di tutta la popolazione, che volle in quell’area il campo sportivo per la gioventù caprese e così le arcate vennero murate. Chissà quante volte vi avrà passeggiato l’imperatore!
Così come aveva adornato e abbellito Roma in modo adeguato alla potenza e grandezza del suo impero, al punto di vantarsi di lasciare di marmo una città trovata di mattoni, abbellì l’isola con le prime fabbriche imperiali, piccoli templi, strade, fortificazioni, ville. Fin d’allora il problema dell’acqua era grande ma i Romani, grandi ingegni, lo risolsero creando ampie cisterne nelle ville imperiali e in quelle rustiche per irrorare la campagna. Famose quelle di Villa Jovis, funzionanti fino agli anni Quaranta, allorché Maiuri ne iniziò il restauro .Nessuno aveva il permesso di costruire senza aver risolto prima il problema idrico con pozzi e cisterne. L’imperatore, oltre alle cisterne del suo palazzo fece realizzare pubblici serbatoi nelle località di Soprafontana e Marucello.
Una suggestiva veduta doveva cogliere coloro che navigavano attraverso il golfo di Napoli in epoca imperiale quando Capri, affascinante già nella sua bellezza naturale del verde che la ricopriva e di un mare unico per i suoi colori e la trasparenza, era arricchita da prestigiose costruzioni: vicino al porto il Palatium di Augusto, con la Scala fenicia alle spalle, che terminava ad un’altra villa imperiale (successivamente sostituita dalla Villa San Michele di Axel Munthe); ad est la lussuosa Villa Jovis, dominante dall’alto del Monte Tiberio; un’altra villa imperiale al centro, sul Castiglione e le rade ville dei cortigiani sparse nella vegetazione che a quei tempi ricopriva tutta l’isola.
Ad Augusto si devono anche una nuova costituzione giuridico-amministrativa dell’isola, affidata come patrimonium principis a liberti procuratores. L’isola rimase meta privilegiata dell’imperatore fino alla sua morte avvenuta nel 14 d. C. a Nola, ma non divenne mai sua sede stabile. Non appena le cure dello Stato glielo permettevano, scappava a Capri, dividendo le sue giornate fra il passeggiare a piedi o in lettiga per tutta l’isola, l’assistere ai giochi degli efebi nella palestra e offrire spesso cene con attenta selezione di uomini, alle quali faceva intervenire artisti, buffoni ed anche volgari personaggi da circo. Celebrava i giorni di festa, le solennità e specialmente i Saturnali con magnifiche elargizioni in monete, in coperte per i soldati e tante cose utili (non dimentichiamo che tra le sue varie riforme va inclusa quella monetaria, con la creazione di una zecca nella quale venivano coniate monete d’oro, d’argento e in tutti i metalli) .
Non solo fu protettore di studiosi e letterati ma soprattutto scrittore puro ed elegante , tanto che anche in guerra non trascurava di leggere, scrivere e studiare. Fra le tante sue opere, un poema in esametri “Sicilia” , una descrizione ampia e minuziosa dell’isola che conosceva molto bene. Amava comporre poesie e declamarle. Evitando tuttavia imbarazzanti confronti con i grandi poeti del suo tempo, stabilì che nessun poeta potesse sbarcare sull’isola. Per ascoltare dalla viva voce di Virgilio le Georgiche appena terminate, indusse il poeta, al ritorno del suo viaggio a Brindisi, a fermarsi in Campania e lo raggiunse ad Aversa. Soddisfatto, gli commissionò un poema che esaltasse tutta la Gente Giulia, discendente di Enea. Nacque così l’Eneide. S’incontrava con Orazio a Baia e vedeva Vedio Pollio a Napoli presso il quale, nella villa di Posillipo, era spesso ospitato.
Parco nel mangiare e semplice nel vestire. Amava mangiare fuori orario e “spizzicare” in ogni momento, quando lo desiderava il suo stomaco. Ben lungi dalle orge e dai banchetti del suo figliastro e successore Tiberio , figlio di Livia, sua seconda moglie e da lui adottato.
Sotto questo grande esiliato di Capri , tanto vituperato per il passato ma oggi valorizzato per aver portato al massimo dello splendore la potenza di Roma, inizierà la decadenza dell’Impero
Un giorno ricevette un messaggio del procuratore imperiale per la Giudea, Ponzio Pilato. Questi lo informava che la carestia aveva decimato la popolazione di quella colonia e che c’era stata una rivolta subito sedata. La repressione aveva portato alla crocifissione di due ladroni e di un “fanatico” della Galilea che sosteneva di essere il Messia. Egli l’aveva fatto crocifiggere in quanto avrebbe offuscato il prestigio dell’imperatore ma la sua coscienza ne era rimasta turbata. I suoi seguaci sostenevano di aver trovato scoperchiata la grande pietra che ricopriva il sepolcro e che il loro” maestro “ fosse risuscitato e assurto in cielo…..