Fonte: Il Mattino.it
di Federico Vacalebre
La produzione saggistica di Antonio Sciotti assomiglia sempre più a quella di un enciclopedista di cantaNapoli, che allarga alle dimensioni di un saggio le voci più importanti da analizzare. Dopo i tomi dedicati alle Piedigrotte ed i festivàl (guai a pronunciarlo all’italiana), le dive dei cafè chantant e i divi di Little Italy, la sceneggiata, la canzone comica, le canzoni di Pulcinella, le canzoni di Ischia tocca adesso a Cent’anni di canzoni e festival dedicati all’isola delle sirene – 1890-1990, come recita il titolo dell’appena uscito Capri, sempre edito da Arturo Bascetta (pagine 150, euro 44, non proprio economico). Stavolta il fenomeno preso in considerazione, come già quello dedicato all’altra isola-perla del golfo, non è così centrale nella storia della melodia verace e perduta, regalando racconti da stagioni, e kermesse, in qualche modo secondarie. Ma, proprio per questo, a ben leggere tra le pagine, le tabelle, gli elenchi dei concorrenti, viene fuori un amarcord di una Capri, quella che va dal dopoguerra agli anni Sessanta che si ritaglia un ruolo, una bolla tutta sua sul fronte della melodia. I festivàl di Capri, nelle loro varie denominazioni, lanciano qualche canzone («Me so’ mbriacato ‘e sole», 1949; «Anema e core», 1950; «’Nu quarto ‘e luna», 1951; «’O ciucciariello», 1951; «Luna caprese», 1953), celebrano e rafforzano il culto dell’isola, peraltro un vero sottogenere sin dal 1889, anno in cui Pasquale Cinquegrana e Eduardo Di Capua firmano «’A grott’azzurra».
La piazzetta è meta ambita così nelle giurie a scegliere la migliore canzonetta troviamo Eduardo De Filippo, Curzio Malaparte, Mario Stefanile, Carlo Nazzaro… Ma il racconto, come sempre punteggiato di notizie e di dati, permette soprattutto di ricostruire una stagione a tratti dimenticata. Le voci per antonomasia capresi sono, all’inizio di questa storia, Roberto Murolo e Scarola, modelli del nuovo stile canoro sussurrato e confidenziale, contrapposto a quello gorgheggiato, belcantistico, ricco di fioriture che impera negli altri concorsi. Il primo, figlio di quell’Ernesto che ci ha lasciato capolavori come «Pusilleco addiruso» e «Piscatore ‘e Pusilleco», trovò buen ritiro a Capri dopo la guerra e l’avventura internazionale del Quartetto Mida. Tra un tuffo in mare e una mattinata da leone al sole ritrovò la chitarra ed il repertorio che aveva imparato nella casa paterna, in via Cimarosa n. 25. La sua seconda vita artistica (ne conteremo almeno quattro, se non cinque) ricominciò nel 1948, dal Tragara Club. Nei night, nei ristoranti, nelle taverne, non si ballava certo sui tavoli, come succede oggi, apprezzando la dizione chiarissima, da recitar-cantando, la propensione all’affabulazione nel presentare i brani, per i temi romantici, ma anche le allusioni sessuali.
La canzone napoletana trovava nuova dimensione internazionale, l’uso del microfono permise a Roberto uno stile raffinato, mondano, seducente. Era il momento degli chansonnier e accanto a Murolo c’era Scarola, oggi dimenticato. Lui sull’isola ci era nato (come Giuseppe Savarese, il 26/10/1918) e ci è morto (il 6 settembre 1996): detto «il cantore di Capri», allievo di Armando Romeo, la maglietta a strisce da marinaio, la sei corde sempre a portata di mano, cantante d’opera mancato, fu definito anche «la voce dei re», per le numerose teste coronate per cui si esibì. Anche quel modello entrò in crisi. E se Murolo dedicò la sua terza vita artistica alla canzone napoletana classica, Scarola rimase fedele alla sua isola, forse anche intrappolato dalla stessa. A rinnovare il by night, a mandare in pensione gli chansonnier con un nuovo stile ispirato dal twist, dal rock’n’roll, dai nuovi balli giovanili arrivò Giuseppe Faiella. Era stato Scarola, al «Festival di Capri» del 1953, il primo interprete, misteriosamente fuori gara, di «Luna caprese». Ma quando, nel 1968, quel suo concittadino che ormai era diventato per tutti Peppino di Capri la riprese divenne una «sua» canzone. Anche il ritmo della terra delle sirene era cambiato. Com’è cambiato poi, in tempi più recenti, con Guido Lembo e suo figlio Gianluigi, signori dello stile «da taverna», più casinaro, identitario-internazionale, sboccato. Ogni stagione ha la sua colonna sonora.