di Luigi Lembo
Tra le tante cose che andrebbero recuperate e valorizzate facenti parte del nostro patrimonio culturale ci sono anche alcune pellicole cinematografiche; tra queste mi piace segnalare una in particolare prodotta in America nel 1949 che ha per titolo “I pirati di Capri” (The Pirates of Capri) ed è un film storico diretto dai registi Edgar G. Ulmer e Giuseppe Maria Scotese.Della pellicola sono rimaste poche copie rimaneggiate (recuperate nel 1998 da un controtipo nitrato) e non esiste più la versione italiana originale. Peraltro, secondo alcuni sembrerebbe che la versione originale italiana esista ancora, e che si trova a Roma nel magazzino di “pizze” cinematografiche di proprietà di un’attrice italiana degli anni ’70, ora scomparsa, e che fosse oneroso rimetterla in circolazione. Il film racconta la rivolta di Napoli del 1799 e coinvolge un gruppo di uomini detti “i pirati di Capri”, guidati dal sedicente capitan Scirocco, il quale ha una doppia vita ed in realtà è il conte Amalfi facente parte della corte dei Borboni. Questo antefatto è solo per evidenziare come pirati e corsari hanno contraddistinto, nell’immaginario collettivo, la storia stessa della nostra Isola.Un interessante articolo tratto dalla rivista Caprifoglio del 1992, dal titolo “li Turchi alla Marina” racconta proprio di questo fenomeno e di quanto esso abbia inciso nella storia e nella cultura popolare.Tra i secoli XV e XVIII lo scorazzare di pirati lungo le coste del Mediterraneo vive il suo momento culminante; flottiglie armate, regolarmente autorizzate dai rispettivi governi centrali grazie a salvacondotti più o meno regolari, in cerca di bottino e schiavi infestavano lo Ionio e il Tirreno, provenienti da città come Algeri, Tunisi, Tripoli e in alcuni casi anche dalle cristiane Malta, Livorno e Messina, portando via con sé ricchezze e persone. Veloci imbarcazioni a remi, dotate di vela latina (galee, tartane e feluche) che affrontavano un viaggio sfruttando il mare calmo estivo, con a bordo un “raìs”, comandante in capo, un “khogia” o comandante in seconda, un timoniere e una ciurma di schiavi rematori “acquistati” nei bazar dell’Africa settentrionale. Dall’altra parte le città costiere e le isole del Tirreno, Capri, Amalfi, Massa Lubrense, costrette ad inviare di continuo – ma purtroppo inutilmente – suppliche ai vicerè della Napoli Spagnola seicentesca, per avere protezione e risorse atte a rinforzare le numerose torri e mura messe a dura prova dalle ripetute scorribande “Barbaresche”. Dopo ogni “visita” non rimaneva altro che fare la conta delle perdite in beni e persone. Nel primo ventennio del 1500 si contarono a decine i capresi rapiti dai pirati.Comincia ad apparire, sempre più spesso, nelle liste dell’anagrafe del tempo la dicitura “captus a mauris”che significava “preso da Turchi” ossia persone rapite dai pirati corsari. Nei momenti di maggiore aggressività, tra il 1531 e il 32 il pirata Kareiddin – detto il Barbarossa – ebbe l’ardire di saccheggiare l’isola fino a distruggere il castello, ad Anacapri, che oggi porta il suo nome;o ancora nel 1553, il successore del Barbarossa, il corsaro Dragut, che, attaccando Capri da entrambi gli approdi di Marina Grande e Marina Piccola imperversò per tutta l’Isola arrivando a distruggere l’ultimo riparo della popolazione, la Certosa di San Giacomo, che fu data alle fiamme e saccheggiata. Si capisce come in questo secolo la popolazione dell’isola diminuì di quasi un terzo tra rapimenti e trasferimenti sulla più sicura terraferma. In mancanza di ogni aiuto non rimaneva ai poveri Isolani che affidarsi alla benevolenza del patrono San Costanzo o a San Leonardo, il patrono degli schiavi, a cui era dedicata una cappella sul Monte Tiberio dove ora sorge Santa Maria del Soccorso. Storie che sembrano lontane ma che riappaiono nel nostro parlare comune quando magari ci scappa un’esclamazione come “s’o pigliate r’e turchi” o “Mannaggi’o Pataturco” retaggio ancestrale di quei tristi momenti del nostro passato.