Fonte: Il Secolo XIX
di SONDRA COGGIO
Porto Venere Essere sito Unesco non garantisce valorizzazione e tutela. Al contrario, spesso, espone il territorio al rischio di sfruttamento. Senza vantaggi per l’ambiente e per la gente, estromessa da un marchio che sembra tradursi in una operazione economica a vantaggio di pochi. È il succo di una analisi di Italia Nostra, concentrata su una prima lista di 33 siti, fra i quali Porto Venere e Cinque Terre, inserite come un tutt’uno nella lista Unesco, nel 1997, «quale paesaggio eccezionale». La presidente uscente di Italia Nostra, Ebe Giacometti, nelle conclusioni evidenzia che ci sono «diversi problemi, nei meccanismi di valorizzazione». A partire dal fatto che «il riconoscimento appare un’ azione di marketing per il turismo culturale e di massa, col rischio di stravolgere l’equilibrio ambientale e sociale». Il fatto che il riconoscimento sia «conseguenza di una procedura che di fatto si acquista – precisa – porta alcune amministrazioni a farla fruttare mettendola a reddito. Una vera e propria contraddizione rispetto agli obiettivi Unesco». L’analisi del caso Porto Venere e Cinque Terre è a firma di Giovanni Gabriele, già nel consiglio nazionale di Italia Nostra. Nella sua lunga articolata disamina, si interroga su chi tragga vantaggi da certi tipi di gestione. II biglietto ferroviario maggiorato alle Cinque Terre, ad esempio. «Il comitato di cittadini e operatori ha dovuto affrontare tre ricorsi – rileva – solo per accedere ai dati economici, secretati da Regione e Trenitalia, nonostante l’obbligo di legge di renderli disponibili». O i 24 milioni di soldi pubblici stanziati per l’hub di Migliarina. «Supporteranno i movimenti dei croceristi – osserva – e non ci sarebbe nulla di male, se a pagare fossero le compagnie da crociera o al limite il porto, ma non lo Stato». Gabriele aggiunge che a Porto Venere già ora ci sono «accessi privilegiati ai pullman dei croceristi, unici autorizzati a scendere nella ztl così come alla Spezia fanno i Giottobus che arrivano alla stazione, mentre gli altri scarpinano». Non piace a Italia Nostra l’idea di «un turismo privilegiato, quello dei grandi tour operator, con presenze spesso troppo concentrate, che portano ad una omologazione degli standard di qualità dei sevizi». Il turismo di tutti, dice Gabriele, è un diritto. Invece queste strategie creano «un effetto boomerang che non solo non argina il mordi e fuggi, ma accresce il turismo predatorio». Ed ecco, spiega, che nascono «le proposte di mettere tutto a pagamento, per decongestionare, privando il cittadino comune dei suoi spazi naturali». I diritti – accusa – non possono essere sacrificati in nome della massimizzazione del ricavo. Ad Italia Nostra non piace questo «turismo da selfie», né il principio del «discrimine di censo, chi paga e prenota può andare, gli altri no». Né, tantomeno, piace il turismo «congestionato, che rende succubi». Italia Nostra invoca «il turismo intelligente, che cerca unicità e autenticità». Gabriele contesta proprio l’idea di «valorizzazione come finto divertimentificio». Cita la Palmaria, «che non deve diventare Capri, è già un luogo speciale, unico e inimitabile». Cita le «visioni anacronistiche di fare piscine e accentrare migliaia di persone». Esprime preoccupazione per i progetti di vendita degli immobili appartenuti alla Marina, paventa speculazioni e stravolgimenti. In conclusione, rileva, «i siti Unesco sono visti come un grande business sia dagli enti locali sia dai privati interessati allo sfruttamento turistico».