Fonte: Roma
di Bianca Stranieri
“Il pronipote del fotografo d’arte caprese di fine Ottocento, Ferdinando Lembo (nella foto), autore delle foto di Gemito al Museo Nazionale, figlio del pittore Attilio, cugino del cantante Guido, indegnamente continuatore e collezionista, ringrazia”, ecco come si presentò Gianmaria Lembo nel primo messaggio che mi scrisse, quando accettai la sua richiesta di amicizia su Fb. Lo conobbi cinque anni fa, nei luoghi a lui cari, in un bar a Port’Alba, presentato dall’amica comune e mia maestra Silvana Musella Guida. Avevamo appuntamento con lui perché in cerca di cartoline e spunti per un bel progetto di mostra. Quel che mi è rimasto impresso furono la levità con cui portò da casa gli enormi e pesanti raccoglitori e la gioia con cui ci mostrava quei piccoli rettangoli di bellezza, vigilandoli con l’amore di un padre per le sue creature. Da quel giorno nacque tra noi un affettuoso rapporto “triangolare”, di grandi intese e progetti realizzati, che lo hanno reso fiero e gioioso, unico lenimento, oggi, per il vuoto che ci ha lasciato attoniti mercoledì 6 marzo, alla dolorosissima notizia della sua dipartita. Avvolto dalla insanabile depressione per la recente perdita della sua Titina, detta “la giornalista”, edicolante storica di via Costantinopoli, Gianmaria ha scelto di morire.
Se spesso il ricordo delle persone affiora solo quando non ci sono più, con Lembo è diverso. Nelle innumerevoli occasioni della sua compagnia e in ogni conversazione, pubblica o privata che fosse, non si perdeva modo per ringraziarlo e complimentarsi della sua immensa e originale passione per la nostra città, per la bellezza delle miriadi di ricordi fotografici, cartoline, abbetielli in stoffa e tanti altri oggetti abilmente rintracciati sul mercato antiquario e meticolosamente ordinati e conservati, con immensa generosità offerti ad amici e studiosi, che, come me, gli sono debitori. Appena messo a parte di un’idea, ti inondava di immagini e si entusiasmava scrivendo “guarda, esce una bella lezione!” e così puntualmente accadeva che la nostra gioia diventasse la sua.
Aveva precisa memoria di ognuna delle sue oltre diecimila rarissime cartoline d’epoca, negli anni oggetto di lezioni universitarie, di convegni, in mostra presso eminenti musei ed enti napoletani e riportate su cataloghi. Di tanto in tanto andava “a trovarle” nei luoghi dove lui stesso aveva curato o supervisionato gli allestimenti, controllava che fossero al loro posto e amava condurre amici e visitatori in quel suo amato mondo senza tempo, dicendo che “dare lezioni ai giovani di cose inedite e delle quali si sa poco, è un piacere”. Si rammaricava di non essere riuscito a conseguire la laurea per necessità familiari, però gioiva quando gli dicevo che, tra noi, il vero professore era lui, mentre la sua delicatissima riservatezza si rompeva solo per rimarcare con orgoglio e col consueto sorriso che le sue collezioni non temevano confronti. In una presentazione dell’Archivio Gianmaria Lembo, per un volume a mia cura, ha fatto riaffiorare i ricordi di come fosse nata la sua passione collezionistica: «”Pizze e pezze”, le parole del commendatore che mi hanno accompagnato per tutta la vita. Siamo nella decade degli anni ’70 del secolo scorsi, quando non ancora maggioremme, con mio padre Attilio (pittore), il professore Domenico Rossi (ginecologo), il professore Lorenzo Fonzone (ortopedico), in compagnia del senatore Benincasa, si partì con un motoscafo da Napoli, in missione, ad Amalfi. Si doveva scegliere una carta di pregio con la quale stampare le famose edizioni di questo uomo politico che, non badando a spese, promuoveva la cultura napoletana. Ecco allora il mio incontro con l’imprenditore salernitano De Luca, che aveva ereditato dal nonno diverse cartiere, continuando ad espandere quell’impero nato grazie alle capacità dell’avo.
Non nascondo la suggestione e il timore che mi trasmise vedendolo, e nel mentre si discuteva della pubblicazione, ecco le parole che mi rivolse dandomi una pacca sulle spalle, riportando il verbo del fondatore Andrea: “piccerì, chi non riseca a’a dieci lire, nun guadagna ‘a mille lire e arricuordate le “p”: pizze e pezze. Sì, bisogna rischiare in maniera calcolata, ma la considerazione delle “p” come parabola è il senso della vita; la gente non può fare a meno di mangiare per il sostentamento quotidiano e, da quando l’uomo ha un senso pudico e morale, di vestirsi. Fu lo spunto da attuare nel mio percorso collezionistico, avendo evidentemente nel mio Dna le passioni dell’antenato fotografo, Ferdinando Lembo, e del pittore Attilio del secolo scorso, operante fra Capri e Napoli. Certamente non ripetendo le loro opere o le loro gesta, ma cercando di creare un archivio caratterizzato dal senso e dal gusto del bello».
Il gusto del Bello, questo lo sfondo della tua ultima fotografia, Gianmaria, con l’inconfondibile foulard al collo; resterai imperituro nella memoria dei tanti che hanno avuto l’onore e la fortuna di averti conosciuto e condiviso con te emozioni di ricerca, studi e passioni.