L’Espresso
di ANTONIA MATARRESE
Buono e costoso L’olio da export
Il clima influisce sulla produzione ma la qualità rimane alta. I produttori si espandono all’estero. Prezzi in rialzo. E contro l’abbandono dei terreni, Anacapri fa rivivere l’oro verde
“… Il rovescio della medaglia è rappresentato dall’abbandono degli uliveti: secondo gli ultimi dati del Centro studi di Italia Olivicola, che raggruppa 56 organizzazioni di olivicoltori, nella Penisola si contano 200 mila ettari in totale stato di abbandono e oltre 300 mila a rischio tenuta, specie nel meridione e nelle aree marginali, dove non c’è corrispondenza tra il valore del prodotto e la lavorazione. Eppure, la coltivazione delle olive ha un futuro, anche in territori non necessariamente vocati. È il caso di Anacapri che fa parte dell’Associazione nazionale Città dell’olio dove una decina di anni fa un ambizioso progetto di rigenerazione della cultura rurale ha riportato in vita 120 ettari di uliveti. Il nome scelto è già un manifesto: L’Oro di Capri. Questi alberi hanno più di 200 anni e sono stati piantati durante la riforma agraria di Gioacchino Murat, re di Napoli e maresciallo dell’Impero con Napoleone Bonaparte, racconta Angelo Lo Conte, agronomo Oro di Capri che annovera una sessantina di soci. Negli anni ’60, con l’avvento del turismo di massa nuova fonte di guadagno, i terreni sono stati abbandonati ed è praticamente sparita la produzione di cultivar Minucciola, diffusa nella penisola sorrentina. L’ultima raccolta, che è iniziata il 10 settembre e si è conclusa il 2 ottobre scorso, ha dato 7 mila litri di olio extravergine d’oliva un buon 40 per cento in più rispetto all’anno precedente grazie alla fase di allegagione che permette al fiore di trasformarsi in frutto, caratterizzata da un clima asciutto e non troppo caldo. Inoltre, per favorire la fertilità del suolo, utilizziamo il cosiddetto cippato derivante dalla biotriturazione dei residui di potatura, che avviene da gennaio a marzo, mentre per la semina ricorriamo a un mix di essenza: graminacee come orzo e avena che creano nel terreno condizioni favorevoli per i microrganismi, leguminose che apportano azoto, borraggine e face lia per attirare le api e i bombi impollina tori. A Capri non ci sono frantoi quindi le olive vengono trasportate nel Cilento e macinate a freddo a ciclo continuo. Con tutte queste buone pratiche e un rigido protocollo, l’Oro di Capri ha un costo di tutto rispetto: 20 euro per 250ml. Oltre ad essere consumato da alcuni fra i ristoranti e gli alberghi più gettonati dell’isola come il Capri Palace, il Columbus, Aurora, Da Paolino, questo olio sostiene laboratori didattici w per le scuole primarie e il progetto Mamma Evo che sensibilizza le neo mamme all’uso corretto dell’olio extravergine d’oliva….”