Capri. Dalla raccolta delle olive sui pendii di Anacapri, tra il Faro e la Grotta Azzurra, alla coltivazione dei pomodorini capresi sulla collina di Tamborio: torna l’interesse per l’agricoltura che, insieme con la pesca, fu il primo motore economico degli isolani. Sulla collina di Tamborio è tornata in vita un’altra antica trazione legata a quella cultura delle massaie che erano abituate a conservare i prodotti della terra per far fronte ai lunghi periodi invernali. Sul promontorio dirimpettaio di monte Tiberio, in un vasto appezzamento ormai desertificato, è ritornata la coltivazione di pomodorini capresi che, alla maniera antica, sono stati raccolti e conservati da una comunità di capresi trasformatisi in contadini per l’occasione, proprio come accadeva sino a qualche decennio addietro, agli albori dell’era consumistica.
In quella zona oggi fertile e generosa, dopo tanti anni, sono stati raccolti diversi quintali di pomodorini del piennolo.
A contribuire al raccolto sono stati donne e uomini di Tiberio che hanno imbarattolato i pomodorini in due diverse versioni, la prima, una novità assoluta, ovviamente non poteva chiamarsi che «Salsa caprese» preparata con i pomodori appena raccolti e lavorati in giornata con l’aggiunta di scalogno, zucchero e sale. La seconda versione, quella più tradizionale che si tramanda da generazione, vede i soli pomodorini capresi raccolti in un barattolo e conservati in una salsa leggera, per preparare un tipico sugo caprese dal nome strano ed incomprensibile “Chiummenzana”, di cui non si conosce l’origine. Tra gli ingredienti due regali della natura che i coltivatori di Tamborio, nella contrada più antica dell’isola, quella di Tiberio, amano citare: «L’acqua e il sole dell’isola».
Quest’anno come non mai c’è stato un vero e proprio fenomeno che riporta l’isola al centro della coltivazione di prodotti locali. Forse è stata la voglia di ritornare a coltivare i prodotti della terra la molla che, ad Anacapri, ha spinto un gruppo di proprietari di alberi di ulivo a riunirsi in un’associazione, a cui è stato dato il nome «L’oro di Capri», per riportare anche nei giovani la passione di quella cultura antica che un tempo veniva praticata dagli abitanti dell’isola. E tornerà così sulle tavole dei capresi, sotto l’etichetta «L’oro di Capri», l’olio che è uscito dai frantoi dopo l’abbondante raccolta che è stata effettuata negli uliveti di Anacapri.