fonte: Il Mattino
di Luciano Giannini
All’ artista il riconoscimento di «eccellenza internazionale di musica teatro e tv». Massimo: «Un onore riceverlo dall’ isola per antonomasia»
I premi servono o sono vanità e orpello retorico? «Servono, servono. Come la caramella che il papà dà al figlio dopo un buon compito a scuola. Siamo sempre bambini, noi artisti.
Abbiamo bisogno di gloria. Per migliorarci». E un po’ anche per soddisfare l’ ego «Io penso di averlo nella misura giusta. Mi è utile per affrontare il pubblico e vincere le paure. C’ è, invece, chi ne abusa e lo spende in altro modo, ma non mi riguarda». Domanda pertinente rivolta a Massimo Ranieri alla vigilia del Premio Faraglioni, che ha scelto l’ eterno scugnizzo di Santa Lucia per la sua venticinquesima edizione.
Ranieri entra in un albo d’ oro illustre. È in compagnia di Sordi, Giancarlo Giannini, della Cardinale e della Fracci, di Bocelli e Di Stefano, di Dalla, Cocciante e Venditti, tra i tanti. Stasera, nel teatro del grand hotel Quisisana, partner della manifestazione ideata e organizzata dalla Pro Loco Arte, riceverà la scultura d’ argento col simbolo dell’ isola. A presentare la serata sarà la conduttrice di «Uno Mattina» Benedetta Rinaldi. La motivazione riconosce in Ranieri un artista eclettico e completo, «autentica eccellenza internazionale della musica, del teatro, del cinema e della televisione».
Massimo, che cosa canterà per l’ occasione?
«Quattro, cinque brani del mio repertorio. È il mio modo di ringraziare. Questo è un premio speciale, che mi offre un’ isola speciale anzi, l’ isola per antonomasia.
Anche se, a volte, mi chiedo: A me? Un premio? E perché? Poi ricordo i 55 anni di carriera che ho sulle spalle e mi dico: va bene. È un onore. Lo accetto con piacere Canterò Luna caprese, ovviamente. Come non potrei? E Perdere l’ amore, Rose rosse, Vent’ anni, forse Anema e core. Ad accompagnarmi al piano sarà il maestro Seby Burgio».
Ha ricevuto molti premi in questi 55 anni?
«Sì, tanti ma, a proposito di ego, non li conto».
Ora deve spiegare come mai questa sarà soltanto la seconda volta che lei mette piede a Capri. E la prima?
«Nel 2008. Giù alla Marina portai l’ altro mio spettacolo, Canto perché non so nuotare, ma ripartii subito. Colpa della mia vita frenetica. Da bambino, in realtà, frequentai un po’ Ischia. E, poi, mi dicevano che Capri era l’ isola dei ricchi. Dunque, non era adatta a me». E oggi?
«Non frequento posti mondani, Nei rari momenti di libertà, sto nella mia casa di Sabaudia. Lontano dalle folle».
Tornerà a Napoli con «Sogno e son desto» e «Malia»?
«Con Malia sarò all’ Augusteo dal 22 novembre e dal 6 maggio 2020 al Diana con l’ altro. Siamo già a 500 repliche. Lo porto in giro dal 2012».
Qual è il suo segreto?
«È uno spettacolo, non un concerto, dove la gente trova tutto, dai miei classici alla macchietta, dalla poesia alla barzelletta, dal racconto del mio percorso di vita al tip-tap. Ce n’ è per ogni gusto, Perdere l’ amore, Nino Taranto e i sonetti di Shakespeare».
E «Malia»?
«Ho aggiunto nuovi brani. Ho una panchina molto lunga – parlo del repertorio, ovviamente – e cambio titoli come mi piace. D’ altra parte, canzoni come Luna caprese, Tu vuò’ fa’ l’ americano, Torero e Tu sì na cosa grande sono nel Dna non solo di Napoli, ma dell’ Italia».
La musica non la distrae dal teatro?
«Assolutamente no. Grazie al teatro, che è la mia linfa vitale, riesco a sostenere spettacoli come Sogno e son desto. Cinque anni fa portai in scena Riccardo III.
Tra poco riprenderò Il gabbiano, un allestimento sorretto dall’ idea meravigliosa di inserire nella drammaturgia alcune canzoni del repertorio francese».
Ci sono ancora sogni nei cassetti di Massino Ranieri?
«Ne sono pieni. Non basta una vita per realizzarli. Il gabbiano volevo farlo già 35 anni fa. Ne parlai con Giorgio De Lullo, ma lui mi propose Tre sorelle. Dopo tanto tempo, è giunto il suo momento. E ho svuotato un cassetto».
A chi deve di più tra i suoi maestri?
«A Patroni Griffi».
Non a Strehler?
«Peppino fu il primo a intuire la teatralità napoletana che nascondevo in me».
E Strehler?
«Peppino mi buttò sul palcoscenico. Giorgio mi plasmò e mi ci accompagnò».
Tornerebbe a Sanremo?
«E perché no? Noi tutti dovremmo tornarci, perché – riconosciamolo – da là veniamo. Il prossimo, poi, sarà un Festival speciale, il settantesimo, da celebrare alla grande. Non dico che voglio propormi, ma se dovessi trovare la canzone giusta un pensierino potrei farcelo di sicuro».
Grand hotel Quisisana, Capri, alle 21.