di Luigi Lembo
Molte malelingue sostengono che la nostra comunità debba essere tacciata di pressappochismo e apatia per lo scostante disinteresse a problematiche di carattere sociale ed organizzativo, relegando alla sola stagione estiva l’impegno lavorativo e alle problematiche ad esso connesse e riservando invece il periodo invernale al solo riposo, alla vacanza e al tempo libero. Va detto invece che ciò non è per niente vero se, come è provato, quando si tratta di salvaguardare interessi economici e di bottega il caprese si dà da fare lottando e protestando. Tante le “battaglie” di comunità combattute nel tempo, per le più variegate esigenze, come quella legittima per l’ospedale del 2011 e del 2018, o quella contro gli estimi catastali del 92; ma sfido chiunque a ricordare quanto avvenne nel cuore dell’estate nel 1990 allorquando a Capri scoppiò l’inaspettata Guerra del Pescespada ! Tutto nasceva da una decisone del Consiglio dei Ministri dell’epoca che varò due provvedimenti (un decreto legge e un disegno di legge) per risolvere il problema della contestata pesca con le reti derivanti, le cosiddette spadare usate per la cattura del pescespada.Il problema delle reti derivanti, considerate poco selettive soprattutto dagli ambientalisti, venne posto in parlamento dal ministro della Marina mercantile Carlo Vizzini. Dopo un’ ampia discussione sia alla Camera che al Senato, il Parlamento stabilì che il governo emanasse un provvedimento contenente misure di cautela che fra l’ altro prevedesse l’ obiettivo finale della abolizione di questo tipo di pesca.La protesta dei pescatori fu conseguenziale ma pochi si aspettavano di vederla in forma eclatante proprio qui a Capri .Per un intera giornata turisti e abitanti furono infatti bloccati quel 30 luglio con la chiusura del porto di Marina Grande, con gli aliscafi e i traghetti, anche quelli che dovevano trasportare sull’ isola la posta e i principali generi alimentari, costretti a rimanere al largo. Quattordici imbarcazioni, unite l’ una all’ altra da funi, e quaranta marinai riuscirono insomma nell’ impresa peraltro annunciata di protestare con un’ azione clamorosa contro il divieto della pesca con le reti del pescespada. Quando alle nove in punto Luigi Cinque, capo dei pescatori, bloccò l’ ingresso del porto il caos fu totale. Arrivano motovedette di Finanza e Carabinieri, la folla si ammassò sempre più numerosa sui moli e cominciò ad affollare i locali della Capitaneria e delle Compagnie per avere notizie più precise. Molti turisti, infatti, avevano appositamente rinviato la partenza da Capri proprio per evitare il traffico domenicale del rientro in città. E poi c’erano i pendolari, anche questi numerosissimi, che non potendo andare a lavorare a causa del blocco reagirono infuriati: “ma cosa c’entriamo noi con i problemi dei pescatori di pescespada?Marina Grande vive esclusivamente di turismo!” Nella darsena esisteva infatti un solo peschereccio che praticava questo tipo di pesca.Il tamtam dei pescatori, partito dallo stretto di Messina e poi passato per Cefalù aveva raggiunto il suo apice proprio in un luogo dove il pescespada era preferito alle pezzogne e ai pesci più pregiati.Nel frattempo il danno arrecato dalla protesta fu considerato notevolissimo dagli amministratori comunali che ricordavano come Capri viva soprattutto di turismo pendolare. Lo spettro poi di una nuova protesta, magari da ripetersi nel weekend successivo, suggerì all’ assessore ai Trasporti e al vice sindaco di Capri una trattativa con i pescatori. Il sindaco Costantino Federico accolse in Comune i pescatori e li rabbonì. Fu concordato un documento di solidarietà e un rapporto inviato al ministro della Marina mercantile Vizzini in cui si illustrava il grave disagio creato alla cittadinanza dall’ agitazione dei pescatori di pescespada e del ruolo degli amministratori a convincere i dimostranti a liberare il porto.Intanto l’ eurodeputato verde Gianfranco Amendola faceva sapere di aver chiesto al ministro della Marina mercantile il giusto indennizzo ai pescatori, per evitare inutili esasperazioni e disagi, e far partecipare a tale contributo anche le categorie e i cittadini danneggiati dal blocco. Non è dato sapere se questi fondi arrivarono, di certo, a mezzogiorno del giorno dopo, aliscafi e traghetti poterono riprendere la normale attività.