Fonte: Roma
di Carolina Germini
Il tema della città è sempre stato caro al filosofo tedesco Walter Benjamin tanto da essere entrato a far parte del suo sistema di pensiero, del suo modo di osservare il mondo. In “Infanzia berlinese” scrive: “Non sapersi orientare in una città non vuol dire molto. Ma smarrirsi in essa come ci si smarrisce in una foresta, è una cosa tutta da imparare”.
Trovare la strada per perdersi in uno spazio cittadino per Benjamin è una vera e propria pratica filosofica, un esercizio costante, che lo tiene sempre impegnato.
Ne è una dimostrazione la sua opera “Immagini di città”, in cui fissa i luoghi visitati in istantanee che fermano l’ effimero nell’ eternità dell’ immagine. Ma è forse ne “I «passages» di Parigi” che troviamo la realizzazione più ampia di questa sua ricerca, sebbene si tratti di un’ opera incompiuta. La capitale francese viene qui presentata come ideale centro del mondo, modello a partire dal quale studiare le origini dell’ epoca moderna. Tra le diverse città che hanno segnato la sua esistenza, oltre a Berlino e Parigi, da cui è costretto a fuggire nel 1940 in seguito all’ occupazione tedesca, vi è senza dubbio Napoli. Ne è una preziosa testimonianza lo scritto “Napoli porosa”, disponibile grazie alla casa editrice Libreria Dante&Descartes. In questo libretto, di cui Elio Cicchini ha curato la traduzione e scritto la postfazione, ci imbattiamo in magnifiche descrizioni di Napoli, perfettamente in linea con la scrittura fotografica di Benjamin.
Queste pagine sono il risultato di un incontro, quello che il filosofo fece nel 1924 a Capri con Asja Lacis, drammaturga e attrice lettone, trasferitasi sull’ isola per curare la polmonite della figlia Daga. Tra i due nacque subito una forte sintonia, visitarono Napoli insieme e videro entrambi in questa città un’ immagine del proprio pensiero, che trovò nel termine poroso la sua migliore declinazione. Nello scegliere questo aggettivo i due autori si ispirarono alla morfologia del tufo che, essendo granuloso, presenta continui spazi vuoti. Questa caratteristica, osservano Benjamin e Lacis, si estende anche all’ architettura della città: “Costruzione e azione si permeano in un susseguirsi di cortili, portici e scaloni.
Tutto è fatto per custodire la scena in cui costellazioni sempre nuove, sino ad allora imprevedibili, possano accadere”. Seguendo un movimento centrifugo che, partendo dalla roccia, trova nell’ architettura la sua prima espansione, l’ aggettivo poroso si allarga al resto della città, divenendo metafora dell’ essenza stessa di Napoli. Leggiamo infatti: “Porosità significa non solo, o non tanto, l’ indolenza meridionale nell’ operare, bensì piuttosto, e soprattutto, l’ eterna passione per l’ improvvisare”. Perfino il sonno a Napoli è poroso a causa della continua compenetrazione di giorno e notte, rumore e silenzio, luce esterna e buio interno che è costretto a vivere chi, dividendo lo spazio di una stanza con troppe persone, non riesce a dormire. Ma è nella descrizione della festività che Benjamin e Lacis creano l’ immagine in assoluto più suggestiva della porosità. Osservando un uomo che sta dietro un carretto e gira una manovella, scrivono: “Questa musica è residuo dei giorni di festa passati e, insieme, preludio di quelli futuri, poiché il giorno di festa permea irrefrenabilmente ogni singolo giorno di lavoro”. Anche qui vige la legge della porosità. Dietro ogni granello di domenica si cela ogni singolo giorno della settimana e viceversa. Come osserva Elenio Cicchini nella postfazione, la porosità in queste pagine va ben oltre Napoli e descrive una precisa “ottica dialettica”. Ad essere porosa è la stessa materia del pensiero, dove gli opposti, esattamente come nel tufo, si compenetrano in un’ unica immagine. Un elemento esterno e reale come la roccia viene qui incorporato divenendo a tutti gli effetti un concetto. La città di Napoli, in cui sacro e profano, lutto e gioco, sonno e veglia si intrecciano nel gioco della porosità, trova in un frammento di Eraclito la sua definizione: “L’ opposto concorde e dai discordi bellissima armonia”.