Fonte: Tuttosport del 11 aprile 2021
Umberto Rianna è una figura chiave nella crescita del tennis italiano. Responsabile del Progetto Over 18, segue Matteo Berrettini e Lorenzo Sonego e dalla scorsa stagione anche Lorenzo Musetti e Giulio Zeppieri. In Fit si è occupato anche di Under 14.
Coach cresciuto alla scuola di Nick Bollettieri, Rianna festeggia nel 2021 i 30 anni da tecnico, dopo aver messo nel cassetto della memoria (perché gli studi servono anche se lavori ad altro) la maturità classica e l’ università, Giurisprudenza.
Rianna, dopo 30 anni di attività se si volge indietro agli inizi qual è la prima immagine?
«Penso a Giacomo Staiano che mi fece conoscere Nick Bollettieri a Capri. Andammo a Bradenton e fui subito inserito in un ambiente incredibile, un percorso di formazione in cui i giovani erano affiancanti a grandissimi allenatori e potevano seguire ragazzini emergenti. A me toccò Tommy Haas, aveva 13 anni. Una palestra di vita, non solo professionale. Con Bollettieri non c’ erano mai pause».
Come si passa dai banchi del Liceo Classico e poi da Giurisprudenza, al campo da tennis?
«Giocavo a tennis ma mi dedicavo di più allo studio, non ho mai avuto ambizione, velleità di diventare un professionista, ero quasi a disagio.
Mi iscrissi poi a giurisprudenza perché papà era avvocato, ma io preferivo insegnare e non mi sentivo adatto a restare chiuso in uno studio. Però devo dire con un po’ di orgoglio, che ha ripreso pochi anni fa con Scienze Motorie, ho conseguito la laurea all’ università telematica e un Master».
Dall’ academy a coach.
«Ho cominciato con Malisse, ho seguito Nargiso e Pescosolido che erano già maturi.
Ancora adesso porto con me l’ esperienza con Xavier, l’ opportunità di lavorare con un ragazzo che era sotto i grandi riflettori e faticava. 18 mesi, credo nessuno sia rimasto così a lungo con lui. Aveva firmato un contratto importante con Adidas, era diventato famoso giocando alla pari un match con Sampras.
Con lui ho capito subito che per un giocatore avere quel talento può essere una benedizione e una maledizione. Se non riesci a coltivare le qualità, se non capisci che oltre alle capacità ci vogliano le competenze, non arrivi. E quei concetti sono le mie pietre miliari».
In Italia poi il Blue Team. E da Arezzo, cioè dal privato, è passato al pubblico, alla federazione.
«È stata un’ altra esperienza bellissima, il Blue Team, completamente diversa.
All’ inizio da solo, poi formando giovani maestri, una vera Academy. Grazie al contributo fondamentale di imprenditori locali.
Ho lavorato con Potito Starace, Bracciali il povero Federico Luzzi che ricorderemo sempre. Poi ho lavorato con Bolelli per riportarlo ai livelli che gli competevano. Ed è arrivata la chiamata di Sergio Palmieri, prima gli Under 14 e poi gli Over 18».
Affiancare gli allenatori dei giovani per aiutarli nel passaggio – difficile in ogni sport – dall’ attività giovanile al professionismo. Così dal pubblico si aiutano i privati.
«Quando mi ha contattato Palmieri, mi ha detto espressamente che l’ obiettivo era quello di fortificare le sinergie tra allenatori e federazione che erano meno strutturate. L’ intento era anche far capire che seppur privati, tutti si è parte di una squadra, la Fit, l’ Italia. C’ era bisogno di messaggi più concreti, di risorse».
Lei allena, ma non è l’ allenatore dei giocatori, da tempo non più strappati dal loro ambiente. Un ruolo in cui serve anche psicologia.
Non c’ è solo la parte tecnica e organizzativa.
«Sì, una volta si riunivano i giovani promettenti nel centro tecnico, come a Formia o a Tirrenia. In un’ ottica di decentramento sembrava un’ idea un po’ stretta e forse ora sarebbe anacronistica. I centri tecnici sono sempre fondamentali, ma sono diventati più centri servizi, per allenamenti, approfondimenti, di supporto a ragazzi e team. La Fit ha fatto sforzi importanti, investito parecchio e nel modo giusto, anche con le nostre sinergie con lo staff. E io – è vero – sono un allenatore, ma non il coach dei ragazzi e nemmeno l’ allenatore degli tecnici. Non saprei definire, forse consulente. Meglio, mi sento un supporto».
In questo momento magico si rischia di far crescere troppe aspettative. I risultati del lavoro si valutano nel complesso. Ma Sinner e Musetti si nasce, no?
«Ecco, serve equilibrio. Non sono i Sinner e i Musetti le vere conseguenze di questo lavoro approfondito, che peraltro comincia fin dai 12enni con i centri di base e l’ Istituto Superiore di formazione Roberto Lombardi diretto da Michelangelo Dell’ Edera. Lo è invece la crescita globale del movimento attraverso un’ organizzazione capillare. Ci sono i tecnici esperti, di qualità, c’ è la tecnologia al servizio, ci sono i professionisti di ogni settore, nutrizionale, psicologico, fisico-atletico. Nel professionismo basta un solo dettaglio non funzionante per far sì che i giovani non raggiungano il livello prevedibile».
È necessario ormai in ogni sport, ad alto livello, non soltanto di squadra. Colpisce però la presenza dello stratega. La sua funzione?
«Si riferisce a Craig O’ Shannessy, che mette a disposizione tutta una serie di dati, sui nostri giocatori e sull’ avversario, dati attraverso le richieste che gli allenatori, come Vincenzo Santopadre e Gipo Arbino sottolineano, anche dopo averne parlato con me. Si analizzano schemi adottati in certe situazioni, gli errori, i vincenti. È dal confronto tra persone e professionalità che si progredisce. Poi ovviamente, come nell’ esempio citato di Malisse, serve l’ attitudine del ragazzo. Sostenere i giovani nel momento più difficile, quello del salto, è stata un’ intuizione importante».
Nel suo ruolo conta anche la capacità di comunicare, si deve inserire – prima con i team di Berrettini e Sonego, poi con quelli di Musetti e Zeppieri – nel rapporto tra persone, senza incidere sugli equilibri.
«Probabilmente sì. Io posso solo dire che per me è sempre stato più facile ascoltare.
Poi è necessaria una sintesi, ma è indubbio che io abbia bisogno delle con
oscenze degli allenatori, di quelli che stanno ogni giorno a fianco dell’ atleta».
Esiste una via italiana al tennis, o nella globalizzazione è impossibile?
«Tecnicamente non è attuale, il confronto è crescita. Ma c’ è sicuramente una via italiana al tennis, un modo di fare. Abbiamo capacità specifiche, una storia, un’ energia misteriosa con cui abbiamo superato momenti difficili. A conferma di questo, un giorno è venuto l’ allenatore di Thiem a chiederci dopo un match con Berrettini come lavorasse Matteo. Il pericolo principale che corriamo ora, è sederci. Ma non succederà. Un altro pericolo è immaginare che debbano emergere di continuo i Sinner e Musetti. Abbiamo tanti giovani con grandi qualità, dobbiamo rispettare la loro crescita individuale. Ogni percorso è unico».
Lei è convinto chei giocatori crescano nel confronto.
Spesso crea momenti in cui i ragazzi si ritrovano per allenarsi. Nasce dall’ idea di Bollettieri di mettere assieme le élite? «Sì e mi conforta quanto detto da Musetti a proposito di Sinner. Sono giocatori e individui diversi, ma il confronto e anche la rivalità buona, sono stimoli».
Una caratteristica peculiare per ognuno dei giocatori che segue: cominciando da Matteo Berrettini.
«Mi colpisce la sua capacità di approfondire nelle cose importanti, la curiosità che si nutre di curiosità ulteriore. Sta superando i guai fisici, occorre stabilizzarlo sotto questo aspetto, partendo dalle sue caratteristiche e considerando il suo modo
esplosivo di giocare. Matteo ha le idee chiare, ha assunto un fisioterapista personale, così ne ha due».
Sonego è in finale a Cagliari, al primo torneo sul rosso.
«Mai dimenticare che Lorenzo ha avuto un percorso diverso, ha iniziato dopo, non ha avuto un certo tipo di attività giovanile. La sua curva di crescita è diversa.
Ma è un ragazzo e un professionista d’ oro, applicato.
Ed è un agonista incredibile, non molla mai, sempre positivo. Come quei pugili incassatori che prendono un sacco di botte ma ar
rivano in fondo.
Come Rocky, o nella realtà Vinnie Pazienza. È migliorato sui suoi limiti, nel rovescio. E continua a farlo con Arbino che per lui è stato tutto».
Lorenzo Musetti.
«È all’ inizio, deve unire alle indubbie qualità, le competen
ze. L’ allenatore Tartarini svolge un grande lavoro con Lorenzo. Che ha grande personal
ità, ma ancora pochissim
e partite per saper leggere ogni momento al meglio.
È creativo, ma sta esplorando il gioco, per ora il suo gioco è frutto delle capacità».
A che punto è Zeppieri?
«Giulio ha tante cose, qualità, deve credere un po’ di più in se stesso, avere più certezze, ma il suo allenatore Melaranci è bravissimo ci stanno lavorando. Arriverà. Abbiamo altri giovani importanti, co
me Nardi, simile a Zepp
ieri, oppure Cobolli. Ma nessuno deve commettere l’ errore di paragonarli a Sinner e Musetti. C’ è chi ha bisogno di più tempo. È normale».
Un giudizio su Sinner?
«Lo conosco poco, ma il guru del nostro tennis, Riccardo Piatti, ga
rantisce. Di Jannik mi colpiscono le interviste. Parla con
una maturità addirittura superiore a quella del gioco. Sembra un venticinquenne, ha grande equilibrio».
La stagione sul rosso entra nel vivo. Le sue aspettative?
«A dire il vero io non vedo l’ ora che ricominci quella sul veloce. I nostri ragazzi nascono sulla terra rossa, è naturale, automatico, il loro adattamento. Sul cemento hanno più margine di crescita. E si giocano più tornei dunque è importante. Vi porto un esempio. Sonego gioca meglio quando deve recuperare nel punteggio. Dipende dalla sua formazio
ne sul rosso, tende ad aspettare, ad essere meno aggressivo da subito. È chia
ro a tutti, è facile da spiegare e da capire, molto meno da realizzare poi in campo».
Si è fatto un’ idea del motivo per cui alcune giovani promesse non arrivano?
«Perché è un gioco estremame
nte selettivo. Dei migliori 100 junior e
mergono tra i pro 1,8. Fare un giocatore e come fare un torta buonissimo. Servono
tutti gli ingredi
enti nella giusta dose.
E cottura adeguata, con tempi precisi».
Vero che il momento chiave di uno scambio è la pausa tra un quindici e l’ altro?
Come si gestisce?
«Attraverso una serie di routine e momenti, legati alla respirazione, per dire ai movimenti. Poi ci sono i gesti rituali. Aggiungo che anche durante lo scambio – come in tutti i giochi co
n la palla – è fondamentale ciò che fai quando non colpisci la palla stessa, come ti muovi. Una grandezza unica di Nadal è che sa cosa succederà, prima di tutti».