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San Gennaro, Totò e gli anni felici di Pupetto di Sirignano

di Redazione
16 Dicembre 2024
in News
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Seggiovia Monte Solaro

Fonte: Il Mattino – 15 dicembre 2024

di Vittorio Del Tufo

«Lurido porco! Come ti permetti
paragonarti a me ch’ebbi natali
illustri, nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali?» (Totò, A livella)

***

Quando il principe Francesco Saverio Gaspare Melchiorre Baldassarre Caravita di Sirignano, da sempre conosciuto come Pupetto, parlava di San Gennaro, i suoi occhi si illuminavano. Del patrono di Napoli Pupetto vantava, o millantava, una discendenza diretta, testimoniata da una circostanza singolarissima e mai smentita: il giorno del Santo gli compariva una macchiolina rossa sulla pelle. Proprio in mezzo alla testa, nel punto esatto della nuca dove nel 305 dopo Cristo si era abbattuta la spada del legionario romano che decapitò San Gennaro. Pupetto era così, prendere o lasciare, ne pensava una e ne raccontava cento, è stato e resterà uno dei personaggi più in vista della Napoli del 900, ineguagliabile icona di un’Italia gaudente, re del jet-set e imperatore di Capri – come e più di Totò, che a lui si ispirò – e sublime sceneggiatore di una vita, la sua medesima, che condensò nello splendido epitaffio che fece scrivere sulla tomba: «Non fece mai niente d’importante, ma non fece mai male a nessuno. Si divertì». Il padre, il senatore del Regno Giuseppe Caravita di Sirignano, discendente di un’antica famiglia spagnola, era stato un imprenditore e politico di razza, mecenate e protettore degli artisti. Fu lui, nel 1885, ad acquistare dal senatore Francesco Compagna, figlio del barone Luigi Compagna, il prestigioso edificio che avrebbe dato il nome al Rione Sirignano. Probabilmente il primo palazzo edificato nel borgo Chiaia intorno al 1535 ad opera del marchese Hernando de Alarçon, uomo di Carlo V, presunto amante della regina Giovanna d’Aragona, che lo lasciò incompleto ma realizzò la famosa torre orientale della facciata che compare in varie incisioni dell’epoca.

***

Pupetto, o la sostenibile leggerezza dell’essere. Sul finire degli anni 50 il suo tavolino in Piazzetta, patria estiva del principe, era una calamita per signore e signorine: «Ciao Pupetto, che fai stasera?». E lui, per dare a intendere che già aveva un impegno con un’altra donna, rispondeva puntuale: «Eh, purtroppo stasera mi tocca rimanere al Castello». Il Castello era la Villa Sirignano di Capri, nel primo tratto di via Castiglione. San Gennaro era mio avo, ripeteva Pupetto, fino allo sfinimento, ad amici e parenti. Ma da dove avrebbe tratto origine tale nobilissima discendenza? Raccontava il principe che tre secoli or sono un suo avo – Tommaso Caravita, vissuto tra il 600 e il 700, prima giudice della Vicaria e poi illustre autore di testi giuridici – sposò una certa signorina De Gennaro, napoletana benestante, che era considerata, da tutti, l’ultima discendente della «gens Juanuaria». «Che io sappia», ripeteva Pupetto, «da allora, da quando cioè i Caravita di Sirignano si imparentarono con i De Gennaro, iniziò a verificarsi un evento prodigioso. Sulla nuca dei maschi della nostra casata, nel giorno del miracolo di settembre compare una macchia rossa la quale, evidentemente, vuol rievocare la decapitazione del santo». Sublime balla o straordinario prodigio non è dato sapere, resterà per sempre uno dei misteri di Napoli. Fatto è che anche il principe Giuseppe, papà di Francesco, frequentatore di Casa Reale e amico anch’egli di vip e potenti, vantava la medesima macchiolina sul capo, ma a differenza del figlio preferiva glissare sull’argomento. Pupetto raccontava invece che la macchiolina era comparsa per la prima volta quando aveva 12 anni, e cioè esattamente il 19 settembre 1920. «Nel momento stesso in cui i miei genitori, che già da anni aspettavano ansiosi quel segno, mi porsero uno specchietto e me lo fecero osservare. Quasi svenni per la paura».

***

Viveur planetario, esempio vertiginoso di privilegiato nullafacente, gentiluomo vero e napoletano verace, elegantissimo e mai volgare, si definiva «un vecchio signore distinto in lista d’attesa per l’Aldilà». In un vecchio e introvabile libro autobiografico, «Memorie di un uomo inutile», rievocò le sue scombinate avventure, la sua adolescenza un po’ scapestrata tra famiglie patrizie e club elitari, il suo affollatissimo celibato, i suoi viaggi infiniti, la sua vita per certi versi fatua ma caleidoscopica e ricca di incontri: è o non è la vita l’arte dell’incontro, come diceva il grande Vinicius de Moraes? Soprattutto la Dolce Vita caprese negli anni 50 e 60, sangue blu e luna rossa, l’amicizia con Liz Taylor, Yul Brynner, Brigitte Bardot e svariate teste coronate. «Ho conosciuto molti grandi del mio tempo, da Caruso a Churchill, da Mussolini a Puccini, a Marconi, a Croce, dal duca di Windsor a Spadaro a Chevalier, e li ho visti tutti sotto un’angolatura meno fastosa, forse, ma certamente più umana di quella a cui siamo abituati». Fu amico anche di Gabriele D’Annunzio, che lo accolse al Vittoriale vestito con la sola giacca del pigiama e gli attributi in bella evidenza. Adorava i motori e collezionò molti record, negli anni 30 vinse il Gran Premio di Tripoli con una Maserati 1500. Un altro suo primato fu un matrimonio flash cui fece seguito un divorzio sprint. Nel 1933, a bordo di un transatlantico diretto in America, l’adrenalinico principe conobbe una diciottenne miliardaria che si incapricciò di lui. Allo sbarco a New York, Pupetto riuscì, nel giro di ventiquattr’ore, ad ottenere la cittadinanza americana e a sposare la ragazza. Durò quattro giorni, Pupetto e signora divorziarono davanti a un tribunale di New York per incompatibilità di carattere.

Se ne andò a novant’anni, sazio di vita e di ricordi. Sposato e separato, visse gli ultimi anni della sua vita a Roma, con la giovane compagna americana Diana Schlyer. Capri gli aveva reso omaggio nominandolo presidente dell’Ente per il Turismo. Che all’epoca equivaleva, più o meno, al titolo di Anfitrione di Capri: una certa Capri aristocratica e gaudente di cui non resta che un’eco lontana, o qualche sgualcita fotografia in bianco e nero. Il grande Antonio de Curtis, nelle cui vene scorreva un sangue dello stesso colore, lo aveva reso immortale ispirandosi alla sua camminata, ai suoi sguardi, ai suoi tic (i suoi e quelli di Dado Ruspoli) per interpretare alcuni personaggi (Pupetto Turacciolo e Dado della Baggina) nel film «L’Imperatore di Capri», diretto da Luigi Comencini nel 1949. Pupetto si congedò dal mondo mentre scorrevano i titoli di coda del film che stava vedendo in tv, «Fifa e Arena». Totò, ancora lui. Il principe di Caravita trascorse la prima parte della sua lunga vita in quel Palazzo Caravita di Sirignano, alla Riviera di Chiaia, che ancora oggi è uno dei più significativi esempi di dimora principesca napoletana. Dal 2018 ne è proprietaria la famiglia di Nunzio ed Anna Colella, imprenditori dell’abbigliamento, cui fanno capo i brand di moda Gutteridge e Alcott. Nel palazzo, già sede della compagnia di Navigazione Tirrenia, aprirà al pubblico nel 2027 un albergo di lusso sotto la guida di Rocco Forte Hotels, partner della famiglia Colella nel settore dell’ospitalità. Vogliamo credere che tra le lussuose stanze di quell’albergo si aggirerà il fantasma un po’ cazzaro (araldicamente parlando) di Francesco Saverio Gaspare Melchiorre Baldassarre Caravita principe di Sirignano. Un fantasma irriverente e innocuo, uno spiritello che tutti vorrebbero avere come amico, perché nella vita non ha avuto altro desiderio che quello di divertirsi.

 

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