Fonte: Roma
di Domenico Livigni
Nella seconda metà degli anni Quaranta, il cinema italiano mostra soprattutto un paesaggio urbano traboccante di macerie. Il contatto con la realtà è così forte che, come scrisse il critico Guido Fink, “i segni e le ferite della guerra sono ancora visibili nelle strade e sui visi stessi degli interpreti”. In questo scenario, anche le raffigurazioni del mare e della spiaggia si legano a un immaginario decisamente traumatico. Ad esempio, nel primo episodio di “Paisà” (Rossellini, 1946), la Costiera Amalfitana diventa scenografia di morte. Con gli anni Cinquanta, invece, per la settima arte italiana inizia un’ età dell’ oro: lasciandosi alle spalle la tragedia della guerra, registi e sceneggiatori si affacciano al nuovo decennio con grandi speranze per il futuro e le iconografie marine subiscono un’ investitura edonistica, in stretto legame con i cambiamenti sociali. Si diffonde il fenomeno delle gite domenicali fuori porta e delle vacanze al mare. Gli anglo-americani, come si vede ad esempio nel film “La macchina ammazzacattivi” (Rossellini, 1952), non sono più gli alleati liberatori che si erano visti nelle sequenze di “Paisà”, ma uomini d’ affari dediti alle gite di fine settimana, a escursioni e scampagnate. In questo clima di spensieratezza, a farsi carico dei nuovi immaginari sociali è soprattutto il genere della commedia, che traccia il ritratto di un’ Italia in continuo cambiamento, nonostante le persistenti difficoltà sul versante occupazionale. Nell’ estate del 1949 si svolgono le riprese de “L’ imperatore di Capri” di Comencini, film che in un articolo-intervista apparso sulla rivista “Cinema” viene definito “una satira dell’ immagine illusoria di Capri”, l’ isola del sogno per antonomasia, visitata da donne fatali e uomini ricchi, aristocratici ed eccentrici. Nella pellicola, infatti, si evidenziano molti dei luoghi comuni propri della percezione popolare dell’ isola delle sirene, il tutto enfatizzato dalla straordinaria e graffiante comicità di Totò (nella foto): cliché che vanno dall’ oasi dell’ amore al paradiso dei viziosi, passando per le mode più estreme. Con la solita penna riflessiva e affilata, Ennio Flaiano sulle pagine de “Il Mondo” critica la comicità del film, definendola una “carnevalata a freddo”, ma ne rivela anche un chiaro spessore sociologico: “Forse nell’ Imperatore di Capri, la novità vuol essere nella descrizione di quella particolare gioventù che l’ estate affolla l’ isola di Tiberio: una gioventù che tutti ormai sanno di costumi forzatamente bizzarri, con tendenza alla effeminatezza, incerta tra il linguaggio surrealista dei bambini, le canzonette dei film e l’ esistenzialismo degli autori d’ importazione. È possibile che lo spettacolo di questa gioventù diverta sul posto, ma sullo schermo può suscitare solo un interesse scientifico: e non è detto che in qualche punto il film non prenda il tono di un documentario”.