Fonte: Il Mattino – 01 Settembre 2022
di Donatella Longobardi
«Dopo questa serata, sono più orgoglioso di essere un uomo del Sud». Il sindaco di Capri, Marino Lembo, condensa in poche parole il senso del Premio Faraglioni a Riccardo Muti, al suo rivendicare l’ importanza delle radici di una cultura millenaria. Una cerimonia semplice, nel teatro dell’ hotel Quisisana, curata dai fratelli Damino della Capri Arte e condotta da Eleonora Daniele con la consegna al direttore napoletano della riproduzione del simbolo dell’isola. Il maestro, come d’ abitudine, non si risparmia raccontandosi in una sorta di talk show preceduto da alcune immagini cardine della sua vita privata e della sua carriera. Gli anni di Firenze, i figli Francesco, Domenico e Chiara ancora bambini, la collaborazione privilegiata con i Wiener Philharmoniker, la Scala, poi la direzione a Chicago, la nascita dell’ orchestra giovanile Cherubini e il rapporto sempre più fitto con le giovani promesse della musica anche attraverso la sua academy riservata a direttori e cantanti focalizzata quest’ anno ancora sull’ amato Verdi e la «Messa da requiem». Muti si richiama al suo testo, versi intensi come «Libera me Domine de morte aeterna», per spiegare il
suo senso di fede e religiosità. «Credo che la nostra vita non si esaurisca in questo mondo, Mozart, Raffaello, Dante, sono la testimonianza dell’ esistenza di qualcosa di superiore», dice. Poi ci scherza su: «Dicono che io sia troppo severo quando dirigo, ma non posso dirigere brani come questi ridendo e giocando. Sono un napoletano rigoroso, come lo era mia madre, fiero di esserlo, ai giovani insegno a studiare, disciplina». Ed è la sua napoletanità, il rapporto con la cultura napoletana, il fulcro dell’ intervento davanti ad una foltissima platea sempre più affascinata e divertita che gli tributa più di una
standing ovation. «Quante città al mondo dispongono di un patrimonio simile? I Girolamini sono un tempio sacro, il San Carlo è più vecchio della Scala, è stato diretto da Rossini e Donizetti e dovrebbe produrre sempre di più i capolavori del 700 napoletano per farsi messaggero di una musica che ha dominato il mondo, il conservatorio conserva le tracce di Paisiello, Mercadante, Cilea…». Di fronte a questi temi, il maestro è un fiume in piena. Tanti i ricordi, la richiesta di Jacopo Napoli di iniziare a dirigere, il suo primo maestro Ugo Aiello, e naturalmente Vincenzo Vitale. In omaggio a Muti la giovane bionda violinista di origini ukraine Anastasiya Petryshak, allieva di Accardo, esegue anche una sua versione dell’ inno di Mameli. Poi sul palco spazio a Serena Autieri e le sue canzoni napoletane, a Gianni Conte e alla voce potente di Barbara Bonaiuto che disegna sulle note di Costa i versi di Di Giacomo cari al maestro: «La luna nova, ncopp’ a lu mare,/ stènne na fascia d’ argiento fino… Scétate, scé, Napule, Na’». Muti applaude. Tocca a lui rappresentare nel mondo l’ orgoglio meridionale, di Napoli, di Capri, di quel «faro di civiltà» che partiva dai Faraglioni e di cui aveva parlato nella sua ultima intervista a «Il Mattino» con l’ appello a tutelare il genio di Roberto De Simone.


















