di Luigi Lembo
Sul Molo Pisacane di Napoli c’era, verso la fine degli anni 30 una coppia, lei in abito da popolana, lui con una improbabile tammorra, a cantare sempre la stessa canzone: “Michelemmà” una vecchia tarantella del 1600 che Salvatore di Giacomo aveva impropriamente assegnato a Salvator Rosa. “È nata mmiez’o mare,” dicevano; “È nata mmiez’o mare,Michelemmà, Michelemmà…” e il loro cantare era finalizzato non a far musica da strada ma incredibilmente a promuovere una prima embrionale gita fuori porta nel Golfo di Napoli. Proprio nei giorni in prossimità della Pasqua iniziavano infatti le minicrociere verso Capri che sarebbero durate per tutta l’estate. Come ci ricorda Marcella Leone De Andreis nel suo prezioso libro “Capri 1939”, le minicrociere verso la nostra Isola erano decine e decine e adatte a tutte le tasche. Per 37 lire ad esempio ci si imbarcava su uno dei piroscafi come il Garibaldi o l’Arborea, si poteva indifferentemente pranzare a bordo o a terra ferma (soprattutto al ristorante dell’hotel Grotte Bleue), si aveva il libero passaggio in funicolare e lo sconto in stabilimenti balneari o per visitare la Grotta Azzurra. Spesso si poteva approfittare per partecipare ad una delle rassegne musicali che frequentemente si tenevano sull’Isola come la Sagra della Canzone Napoletana e addirittura sfidare la fortuna con i premi messi in palio tra tutti i partecipanti alla gita. “ Il Mattino” pubblicava ogni giorno una pagina pubblicitaria con gli stuzzicanti premi in palio: un servizio da caffè della Galleria Internazionale Cacace, buoni merce della Rinascente, ricercati fazzoletti in seta per signora della ditta Ricciardi oppure un moderno ferro da stiro della Triplex. Gli slogan più utilizzati erano “Capri ci attende. Ci attende il vento salso e refrigerante” oppure “con 37 lire puoi sfuggire il caldo rovente, l’asfalto semi liquefatto dall’ardore del sole” e poi “ A Capri trovi l’aria che cancella la stanchezza, annulla l’afa e, pura e cristallina, ci fa ringiovanire di dieci anni”. Naturalmente il piatto forte della gita era la visita alla Grotta Azzurra da pochi anni “riscoperta” dal marinaio caprese Angelo Ferraro detto “o Riccio”. Già allora si pagava un non modesto biglietto pari a 13 lire provocando spesso proteste da parte dei villeggianti convinti che la visita fosse inclusa nel pacchetto. Oltremodo c’era anche qualche mal tollerato “spettacolo” considerato indecente o contrario al pubblico decoro come quello di “giovinastri” che si gettavano in mare per compiere acrobazie e per spillare qualche soldo. C’era chi metteva in vendita le rare lucertole azzurre, articolo molto gettonato, tanto che il Podestà per evitare questo illegale commercio proibì l’accesso ai Faraglioni a chicchessia, oppure la “la fastidiosa pretesa da parte dei barcaioli ad avere la mancia”. A tal proposito ci fu un caso che addirittura coinvolse l’Ambasciata Inglese, sollecitata dal Tour Operator Wagon Lits Cook che denunziò il fatto che i suoi clienti “mentre sono dentro al buio ventre della Grotta Azzurra, sono in balia dei battellieri che chiedono soldi extra e i poveretti impauriti pagano senza fiatare”. Il rientro dalla gita avveniva di solito verso l’imbrunire e su ogni ponte del traghetto utilizzato venivano posizionati opportunamente dei pesanti secchi di legno con lunga corda ad uso dei vacanzieri che il beccheggio del natante faceva star male. Ma nella testa di tutti ancor quel motivetto pieno di aspettative: “è nata mmiez’o mare,Michelemmà, Michelemmà…”