di Luigi Lembo
Più persone, per lo più incuriosite da alcune foto pubblicate sui social, hanno chiesto notizie circa la storia della Banca Astarita e del suo clamoroso fallimento. Un interessante blog di Luigi Russo che vi invito a leggere racconta la vita di Tommaso Astarita e della sua famiglia; costui era un noto armatore di Meta di Sorrento che tentò la fortuna spacciandosi proprio per banchiere. Suo figlio Mario visse qui a Capri per diversi anni ed era soprannominato “il Signorino”. Erede di un ingente patrimonio costruì sull’isola case, alberghi, acquisendo varie ville tra cui la celebre “Falconetta” e un parco di centomila metri quadri che nel 1978 donò allo Stato e alla Soprintendenza archeologica e che è stato recentemente riqualificato. Tommaso invece fu noto per essere rimasto alla storia quale protagonista di uno dei più clamorosi e sfortunati investimenti realizzati nell’area Sorrentina. Nei primi decenni del secolo scorso infatti, la Penisola Sorrentina e con essa Capri si erano dotati di numerose infrastrutture supportate da un fermento di attività imprenditoriali e commerciali; c’era quindi spazio anche per una nuova banca che raccogliesse risparmi dopo la stagione di crisi all’indomani della Prima Guerra Mondiale. Fu così che il 23 maggio 1926 con Rogito del notaio Enrico Bonucci veniva costituita la Banca Astarita. La banca Astarita era un istituto di credito che si rivolgeva soprattutto ai molti emigranti che avevano fatto fortuna all’estero, e che rientravano in quegli anni con i loro risparmi in Italia; ma anche agli imprenditori ed armatori sorrentini e a chi, come sulla nostra Isola, avevano raccolto qualche provente con il turismo e con i commerci. La Sede Sociale e la Direzione della banca furono istituite a Napoli, in via S. Brigida 39 (ex sede della birreria Pilsen Urquell). La Banca Astarita divenne presto Esattore per il Comune di Sorrento e nel 1930 incorporò l’Unione Bancaria Sorrentina. Creò vari succursali come a Gragnano, Piano di Sorrento, Sant’Agnello, Vico Equense e, sull’Isola, ad Anacapri proprio a fianco alla Chiesa S. Sofia. Qui fu accolta con entusiasmo dai cittadini Capresi e Anacapresi che identificarono in essa una banca che, proveniente dal territorio, era di per se più affidabile e degna di custodire beni e risparmi. Ma la grande crisi mondiale del 1929 era alle porte e così, il crollo di Wall Street, ma anche malversazioni dei soci e investimenti sbagliati, portarono al fallimento della Banca, causando un accadimento epocale e funesto per tutta la Campania, in special modo per i clienti della banca che videro sfumare i risparmi di una vita; risparmi dei quali non si poteva sperare in nessun ristoro in considerazione che, a differenza di oggi, lo Stato non soccorreva gli istituti di credito in difficoltà. Presso il tribunale di Napoli, fu così istituito un clamoroso processo per bancarotta che trovò spazio sulle prime pagine di molti giornali ; dalle cronache dell’epoca si legge: “Alla undicesima sezione della Corte di Appello è terminato oggi il processo per bancarotta fraudolenta a carico dell’ex direttore della Banca Astarita, Gioacchino Astarita e del rag. Vincenzo Pisani. La corte ha confermato in pieno la sentenza del Tribunale con la quale l’Astarita venne condannato a 10 anni di reclusione e cinquantamila lire di multa ed il Pisani a 10 anni e diecimila lire di multa”. Erano passati appena sei anni, da quel 23 maggio 1926 da quando la banca fu istituita; un istituto che rappresentò quindi una vera meteora nella storia del panorama bancario italiano. A seguito dell’inatteso crack non mancarono sull’Isola suicidi e qualche atto di violenza contro le strutture della banca. Tra le vittime illustri ci fu anche Edwin Cerio. Grazie alla sua attività accademica Edwin era riuscito infatti a mettere da parte più di un milione di lire, una cifra notevole per l’epoca; continuando così, pensò, gli sarebbe venuto «il grasso al cuore», fu questo timore a fargli abbandonare continente e carriera, e a ritirarsi a Capri. Fu anche lui attratto dalla Banca Astarita e lì depositò buona parte dei suoi averi. Dopo la perdita di tutto quel denaro gli rimase comunque la nomea di uomo benestante, che non si diede pena di smentire, perché tanto nessuno gli avrebbe creduto e anche perché, in fondo, malgrado tutto si sentiva comunque un uomo ricco e fortunato.
