Fonte: Il Mattino
di Ida Palisi
Arriva a Capri, piazzetta Tragara, Melania Gaia Mazzucco, protagonista oggi della seconda giornata di «Le conversazioni», quest’ anno centrate sul potere. A quello con la scrittrice romana, premio Strega nel 2003 con Vita (Einaudi), appassionata di arte tanto da dedicare un romanzo e una biografia al Tintoretto, autrice anche per il cinema, seguiranno gli incontri moderati da Antonio Monda, fino a lunedì con Luigi Guarnieri, Valerio Magrelli, Alessandro Piperno e Antonio Scurati. Ieri l’ inizio, ma ad Anacapri, con Helena Janeczek.
Signora Mazzucco partiamo dal potere: che cos’ è per lei?
«Mi interessa dal punto di vista culturale, intellettuale, sociale, in relazione alle donne, per cercare di capire come l’ emancipazione e l’ accesso ai mestieri tradizionalmente riservati agli uomini, al lavoro e all’ indipendenza economica siano questioni aperte. Le donne fanno ancora fatica a raggiungere posizioni apicali: vediamo come cambiare questa situazione».
Qualcosa può fare il potere della scrittura? «Fatico a pensare che sia un potere perché è la scrittura che ci possiede. Si manifesta, ci abita e in qualche caso ci dà delle possibilità e, quindi, dei poteri però è sempre lei a decidere se rimarrà con te e le posizioni di rendita che uno si guadagna sono temporanee».
Come raggiungere la profondità nella leggerezza, senza annoiare, in questi incontri letterari?
«Io ci ho provato raccontando con semplicità storie in cui ci si potesse riconoscere. Come in Vita che parla della grande emigrazione italiana, raccontata come storia di tutti, con l’ esilio, la solitudine, il razzismo. E nei miei libri di arte cerco di trasmettere la passione per la nostra cultura senza l’ oscurità del linguaggio specialistico. Nella Storia di Brigitte ho raccontato cosa significhi per i rifugiati essere completamente infranti, senza un nome, un’ identità, una patria, una lingua, un lavoro, un euro per prendere un autobus, attraverso la storia di una donna vera e senza la pretesa di insegnare niente. Ho sempre ritenuto che i miei libri non fossero porte chiuse a chiave ma finestre attraverso cui guardare».
In «L’ architettrice», uscito poco prima della pandemia, c’ è un lungo capitolo dedicato alla peste del ‘600. Molte similitudini con ciò che accade oggi? «Anche allora ci si chiudeva in casa e sono sopravvissuti molti diari della quarantena: oggi si chatta, all’ epoca si scriveva. Simile è la sensazione dello shock, il sentire avvicinarsi l’ epidemia che all’ inizio era fuori e si pensava di riuscire a contenere facendo dei controlli alle frontiere, per poi invece vedere che in qualche modo la peste aveva trovato un varco, fatto di noncuranza, di corruzione o di sbadataggine. Alla fine sei assediato da un morbo che vedi solo quando si manifesta ed è troppo tardi. La reclusione provoca una trasformazione fisica della città, che si spoglia di rumori e si popola di fantasmi, allora come oggi, come pure il mancato funerale: le persone venivano portate nei lazzaretti e non ci si poteva congedare da loro. Ancora: la grande fiducia nella scienza pure allora, che invece si dimostrò impotente, o il ribaltamento del rapporto tra libertà e legge. E infine la reazione del popolo, negazionista e complottista».
E anche la caccia agli untori.
«Voglio ridimensionarne l’ aspetto ridicolo. Se pensiamo che noi stessi siamo stati invitati a disinfettare le porte dopo averle toccate non ci dobbiamo stupire più di tanto se all’ epoca pensavano che i portoni trasmettessero la peste. Nella peste di Venezia di cui mi sono occupata nei libri sul Tintoretto, nel 1577 smontarono tutti i batacchi dalle case per impedire che qualcuno suonasse. Ci si difende come si può».
Tornando all’ oggi: a Capri interviene anche suo marito, Luigi Guarnieri. È la prima volta a un festival letterario insieme?
«Ci siamo conosciuti da studenti del Centro sperimentale di cinematografia e abbiamo formato un’ alleanza, accompagnandoci in questa lunga avventura che da una parte è la scrittura e dall’ altra è la vita.
Non ci è mai capitato di fare cose nello stesso festival, ognuno è stato il marito o la moglie dell’ altro: questa è un’ avventura nuova e sono felice di essere su un’ isola che rappresenta il nostro sogno di ragazzi, ma che non ci potevamo permettere.
Come pure sono legata a Napoli, una parte della mia famiglia viene da qui ed è un mondo che ho sentito sempre molto mio».