di Luigi Lembo
Agli appassionati di calcio non sarà sfuggito che la squadra del Real Madrid stà giocando in questi mesi per lavori di ristrutturazione del Santiago Bernabéu , nella cornice dell’ Estadio Di Stefano, il campo principale di Valdebebas , centro tecnico della società. Non tutti sanno che Alfredo di Stefano a cui è dedicato lo stadio fu uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi ed era d’origine caprese. Chi lo hanno visto giocare è pronto a giurare che la sua grandezza fosse addirittura superiore a quella di Pelè e Maradona. Può essere certo una valutazione arbitraria ma rimane il fatto che la “saeta rubià”, così come era soprannominato, è stato il primo giocatore universale. Era nato a Buenos Aires nel 1926; il padre, ex difensore del River Plate lo avvicina al calcio. Di Stéfano cresce giocando a calcio in strada, negli oratorie nelle squadre di quartiere come l’omonima di Barracas,nominata “Unidos y Venceremos” inizia la carriera professionale nell’argentino River Plate e poi nei Millionarios di Bogotà per poi trasferirsi in Europa contribuendo poi in maniera determinante ai successi del Real Madrid dal 1953 al 1964. Era soprannominato la «saetta bionda» perchè spaziando in ogni parte del campo era capace di salvare la sua porta dal gol per infilare poi subito la palla nella porta avversaria, raggiunta con una delle sue discese travolgenti che gli portarono appunto il soprannome di «saeta rubia». In più, aveva una caratteristica unica per quei tempi: un attaccante di pura classe che aiutava la difesa, impostava l’azione e andava in gol. Il tutto ad una velocità sconosciuta per quei tempi, quando il calcio si muoveva ancora al rallentatore. Eletto Pallone d’oro due volte (1957 e 1959), Di Stefano realizzò 49 gol in 58 partite di Coppa Campioni (l’attuale Champions League) che aveva vinto cinque volte consecutive con il Real (1956-60), mentre fu per ben otto volte campione di Spagna. Nel 1989, una giuria formata dai lettori di France Football lo pose al vertice della speciale classifica “Super Pallone d’Oro”, davanti ai nomi pur prestigiosi di giocatori come Cruijff, Platini e Beckenbauer. Insomma, un leader per classe, carisma e per quell’innato senso di superiorità, tale che la Storia lo ricorderà come una leggenda e comunque tra i più grandi di sempre. La sua carriera di allenatore non fu altrettanto fulgida come quella di giocatore; anzi, fu costellata da molti esoneri, prima fra tutti da quello del Real Madrid, di cui prese la guida nel 1982, succedendo al dimissionario Vujadin Boskov, costretto a lasciare dopo meno di due anni. Dopo un esperienza col Boca Juniors e col Valencia, Di Stefano tornò a Madrid a fare il consigliere del presidente, fino a essere nominato successivamente presidente onorario del club. Al di là della sua carriera rimane comunque un Campione a tutto tondo, in campo e fuori, campo, Di Stefano ha vinto tutto e incantato tutti. Con l’unica «sfortuna» di essere stato grandissimo quando la televisione era ancora troppo piccola per poter celebrare, come avrebbe meritato, il suo innato talento. Di Stefano era un assiduo frequentatore di Capri, dove cercava con passione i segni delle sue origini. Veniva spesso d’estate intrattenendosi in lunghe chiacchierate con i capresi che avevano parenti in Argentina e che, come i suoi nonni, avevano cercato fortuna in Sud America. Veniva a trovare soprattutto i cugini Teodorico e Raffaele e con loro si intratteneva spesso in Piazzetta o nella macelleria di “Rafele”. Il 26 settembre 2002 gli viene assegnato ad Anacapri anche il Premio Capri San Michele con la motivazione, tra l’altro di essere stato “uno tra i più celebri “figli” che l’isola azzurra possa vantare” Morirà il 7 luglio 2014, pochi giorni dopo il suo ottantottesimo compleanno, all’ospedale “Gregorio Marañón” di Madrid dopo essere stato colpito da un infarto due giorni prima mentre passeggiava nei pressi dello Stadio Barnabeu per vedere i giovani calciatori entrare allo stadio, quegli stessi le cui prodezze ci incantano oggi davanti alla Tv.