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La Lettura della Domenica di Luigi Lembo – L’uomo che vestiva i sogni – foto

di Redazione
25 Dicembre 2021
in Cultura, Events
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Seggiovia Monte Solaro

di Luigi Lembo

Ogni qualvolta lo incontravo per strada o al lavoro mi salutava con la sua voce possente e lo squillante “ciao caro, come stai?” Basso, tarchiato con un perenne sorriso, di certo non lo avresti confuso con gli altri vacanzieri anni 80 della nostra isola, perché lui era Tirelli, un personaggio che non passava di certo inosservato e che col suo odio-amore per la nostra Isola ha contraddistinto una stagione per certi versi indimenticabile della dolce vita caprese. Lo vedevi spesso in Piazzetta con i suoi due splendidi cani dalmata non certo seduto tra i tavolini dei bar, ma quasi solo a tener il polso di chi arrivava sull’Isola come l’anfitrione di un luogo che considerava sempre la sua casa. E di casa ne aveva poi una splendida, posizionata all’inizio di via Pizzolungo dalla cui unica terrazza sembrava toccar con mano i Faraglioni. Ed era lì che ospitava amici e personaggi famosi, condividendo con loro enormi piatti di ravioli capresi di cui era ghiottissimo e abbondanti fette di torta di mandorla. Il nome di Umberto Tirelli evocava lo splendore del grande spettacolo, in scena o sullo schermo, avendo per loro realizzato abiti che nessun altro nel mondo è stato capace di fare. Artisti indimenticabili come la Callas avevano per lui una vera e propria venerazione.  Visconti, con cui aveva vissuto 25 anni di lavoro aveva per lui una  riconoscenza unica per ciò che straordinariamente  dava, per il suo esempio professionale. E poi Valli, De Lullo, Pasolini, Zurlini, che considerava i suoi amici più cari insieme alla Bolognini, Pizzi, la Cavani, che lo consideravano un tetto, l’ unico che riusciva a riunire tutti nella sua casa caprese, piena di oggetti bellissimi curata con la puntigliosità del buongustaio e offerta con l’ eleganza dell’ uomo raffinato. Tirelli ha vissuto l’ amicizia quasi con fanatismo; confessava il rimpianto di non avere avuto figli, ma, aggiungeva, me li sono creati: nelle persone con cui ho lavorato. La sua sartoria era sempre aperta ai giovani considerati davvero come figli veri. E tali considerava il suo aiuto Giorgio D’ Alberti, la costumista Gabriella Pascucci e soprattutto Dino Trappetti, compagno di una vita.  Il racconto della sua vita, così movimentata e vissuta senza risparmio, è stato scritta da Guido Vergani, suo amico di vacanza a Capri, nel libro Vestire i sogni. Un percorso in crescendo, come in una favola: da Gualtieri, paese della Bassa emiliana, ai Musei più prestigiosi del mondo, come il Louvre o il Metropolitan, che hanno presentato i suoi vestiti. La sua biografia è infatti quasi come una favola: il ragazzino Tirelli recita nelle rappresentazioni di paese, ma prestissimo si innamora della magia dell’opera, parte per Milano, per la mitica via Montenapoleone. L’ iniziale, modesto ruolo di fattorino dura poco. Nel ‘ 53, entra nella Sartoria Finzi: costumi per il teatro. Entrare e capire che era il lavoro più divertente del mondo fu tutt’uno, ricordava. Il vero mestiere però sarebbe cominciato a Roma, alla Safa delle sorelle Maggioni, quando viveva in quella che chiamava la Comune di via Due Macelli, un appartamentino in centro diviso con Tosi, Zeffirelli, Bolognini. Fu l’ occasione di incontro con Visconti, poi con Valli e De Lullo, lo stimolo per il grande salto, la sartoria in proprio. L’ inaugurazione fu il 28 novembre 1964, una data mai dimenticata: ogni anno, in quel giorno, c’era festa grande nella palazzina Liberty di via Pompeo Magno, un vero museo di bozzetti, fotografie, stoffe, migliaia di abiti d’ epoca. Diventa così in breve tempo colui che veste i divi di cinema e teatro e ancor oggi a  Formello, nei pressi di Roma, sorge un edificio di 6.000 metri quadrati dove sono appesi, suddivisi per generi e per epoche, più di 15.000 abiti d’epoca autentici e oltre 200.000 costumi, i primi raccolti dalla passione da Umberto e altri poi incrementati in seguito dalla perseveranza di Dino Trappetti, suo erede. Ricordo che pochi giorni prima di morire, avvenuto quel 27 dicembre 1990,  pur malato volle venire a Capri che d’inverno rappresentava un rifugio ancor più intimo per ritrovarsi e ritrovare amici. Nonostante la bassa stagione e il traffico limitato di turisti la sua preoccupazione principale era comunque quella di non trovare posto sulle navi verso terraferma. Gli “aliscafacci” così come li chiamava, andrebbero aumentati ed essere più efficienti e prenotabili, diceva. Allora non c’era ancora internet, ma la situazione non è poi così cambiata.

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