di Luigi Lembo
C’è una Capri che spesso sfugge al turista distratto. È la Capri che è stata nel tempo oggetto di guerre tra religioni basate sulla volontà di affermare un culto a discapito di un altro sulla nostra Isola. Tempo fa raccontammo della nota storia di Ugo e Emma Andreae e della Chiesa Evangelica di Capri, non tutti però sanno di un caso simile che coinvolse invece a fine ottocento anche Anacapri. Il tutto gira intorno ad un insolito personaggio, Oswald Papengouth, conte olandese, ufficiale della marina russa e missionario battista in Italia. Osvaldo dopo aver viaggiato in molti paesi europei, si trasferì a Londra dove il 2 gennaio del 1868 sposò Hannah Puget, discendente di una nobile famiglia britannica. Amante del lusso e degli agi, si convertì al protestantesimo dopo la lettura di un trattato religioso, capitatogli per caso tra le mani. Dopo essere stato battezzato dal pastore battista Baptist W. Noel, si trasferì prima in Francia e poi in Svizzera per compiere un’opera missionaria. Giunto in Italia, avviò l’evangelizzazione battista in Campania insieme ai figli Nicola Papengouth e Alessandro. Nel 1874 creò a Napoli una congregazione indipendente, con due locali di culto collaborando con le missioni Battiste americana e inglese. Dopo una visita turistica si innamora di Capri e ritiene che possa essere anch’essa luogo di evangelizzazione. La cittadina di Anacapri in particolare rappresentava per la famiglia del conte un terreno fertile dove poter professare la propria religione. Così Papengouth decise di acquistare l’ex monastero abbandonato, messo all’asta dal Regio Demanio dello Stato, donandogli una nuova vita. Grazie al finanziamento ottenuto da parte della Baptist Missionary Society, il conte riuscì a ristrutturare l’intero edificio, trasformandolo in un elegante albergo, che prese il nome di Castello San Michele. All’esterno, le facciate vengono adornate con sontuosi stucchi e tutti i lastrici arricchiti da merlature; internamente, le stanze e i saloni sono riccamente affrescati in stile barocco e pompeiano e vengono arredati con mobili lussuosi. Sull’arco dello scalone, il conte fa incidere la beneaugurante frase latina “Hic manebimus optime” (“Qui staremo benissimo”). Oltre all’aspetto commerciale la vera intenzione del conte era comunque quella di impiantare sull’isola una missione battista; nell’albergo, infatti, gli ospiti dei Papengouth oltre a pernottare erano costretti a seguire i riti del culto battista. E’ inutile dire che la cosa non fu accolta con piacere dal clero cattolico locale e da buona parte della popolazione che ostacolò, anche con iniziative oltraggiose, quanto si faceva all’interno del monastero. Durante le messe nella Chiesa di S. Sofia più volte la popolazione chiese a gran voce l’intervento della curia locale e del vescovo di far in modo di scacciare dal Comune questo personaggio che si era tra l’altro appropriato del Monastero che era stato di Suor Serafina e che cercava proseliti per il suo credo anche tra la popolazione residente. Difronte a tanti intoppi e dispetti vari e, soprattutto, in considerazione delle grandi spese di mantenimento il conte fu costretto in breve tempo a vendere la struttura, che continuò a operare per alcuni anni come pensione, poi, all’inizio del Novecento fu messa all’asta e suddivisa fra diversi acquirenti. La vicenda Papengouth è stata raccontata, benchè in forma molto romanzata, nel bel libro del canonico anacaprese Salvatore Farace “La Fata della Grotta Azzurra”, e con maggior rigore storico in E. Kawamura, “Alberghi storici dell’isola di Capri” ed in T. Fiorani, “L’eretico di Anacapri. Storia e leggenda del conte di Papengouth”.