Fonte: lanazione.it
di Luca Scarlini
Tutto torna e si ritrova a questo mondo, anche il sole dei poemi pastorali che leggemmo da bambini. Ecco qua il sole di Capri. Questo è positivamente Febo, di cui si discorre nell’Adone del cav. Marino. Tutte le mattine si leva, puntuale, e va ad assidersi tranquillamente sul suo trono di Monte Solaro, senza nulla di epico. Di lassù scocca le sue frecce sottilissime, disperdendo in un baleno le argentee nebbioline, che, favorite dallo scirocco, tenterebbero, poverine, di opporsi al sorgere d’un tanto sole. Tiranno familiare, vero Borbone del cielo che non teme disordini nè rivoluzioni nei suoi stati. Ma per noi è anche il sole dei lunari e delle luminarie di Piedigrotta, enormemente tondo, giallo, crinito di flamme e regale come un’insegna da Albergo del Sole. Dio popolare del Mezzogiorno a cui si sacrificano in abbondanza cocomeri e poponi e sono anche dedicati nella stagione del solleone, che è ” la stagione per antonomasia, cioè l’estate, gli spari notturni e i fuochi d’artificio. Per lui ogni giorno è festa! Maturano il ficodindia e il pomodoro, che è il vero sugo di questa terra, molto più del vino di Capri, e se ne fa un tale uso che dopo un po’ che vi cibate di questa cucina potete esser certi che invece del sangue avete nelle vene quel divino e salutifero elemento che serve a condire i maccheroni. Il vostro cervello stesso se ne imbeverà e ne usciranno pensieri scorrevoli, facili, abbondanti, come da un colabrodo. Odorerete di conserva di pomodoro. A Capri non è possibile sottrarsi al contagio di tanta bellezza e dell’universale salute. Fate conto di dovere star bene a qualunque costo. E’ necessario che il vostro aspetto sia florido, sanguigno o, per meglio dire, sugoso. Non si scherza col sole di Capri. A star fermi su questo scoglio, si vede passare il mondo, giacchè l’esodo europeo e mondiale verso l’Italia ha un termine e si direbbe un centro a Capri. E quei forestieri che altrove, nelle città, vi sfuggono, qui li potete osservare ed analizzare. Essi vengono per vedere e possono esser veduti. E’ una specie di stazione migratoria dove si arriva un po’ stanchi e sballottati dal mare e talvolta si stenta a riprendere il volo per la ben nota malia del luogo, talaltra addirittura vi si rimane stregati. Così è sorta la colonia dei forestieri di Capri. Se il ricordare la favola di Circe e delle Sirene non fosse troppo forte vorrei dire ch’essi sono come quei naviganti che passando per questo mare dimenticavano di turarsi le orecchie e bevevano senza sospetto alla coppa della maga: viaggiatori senza nostalgia e tipicamente moderni che non credono più alle favole. Parlano un linguaggio misto di inglese di tedesco e di meridionale. E rinselvatichiscono, qui, assai robustamente come delle piante esotiche male acclimatate. Sono simili a delle statue gotiche sotterrate nel suolo pagano. (…) Il bambino raccatta le pietre e le scaglia, s’imbratta di polvere e di fango. Mettendo dell’acqua in un po’ di terra, gode infinita mente a fare il mestiere del muratore e del mattonaio. Così a noi piace, d’estate, accostare le mani alle roccie soleggiate che mandano non so che odore di madia o di forno, e nutrirci di quell’aria secca e ardente che emana da esse. Invidiamo la felicità della lucertola, allorchè si bea del sole, dilatando il ventre, sui muri caldi e, per la medesima ragione, la compiangiamo, appena l’aria comincia a rinfrescarsi. Sotto questo aspetto, Capri è un paese per fanciulli, che fa gola. Lo chiamerei un paese commestibile: tutto di zucchero e di biscotto. Qui ho riconosciuto le pietre dei vecchi diluvi colle quali Rimbaud desiderava di sfamarsi. Ed è qui che mi so- no ricordato di quella favola che si racconta non so più in quale tribù della terra, secondo cui la via lattea non sarebbe che della farina che un mugnaio lasciò cadere una sera dal carro,tornando a casa.