Fonte: Il Mattino
di Ugo Cundari
Del circolo di intellettuali russi che ai primi del Novecento frequentava Capri, faceva parte anche il futuro premio Nobel per la letteratura nel 1933, Ivan Bunin (Vorone, 22 ottobre 1870 Parigi, 8 novembre 1953), definito dall’ Accademia svedese «severo talento». In quei lunghi soggiorni sull’ isola azzurra Bunin scrisse molti racconti, raccolti in Il signore di San Francisco (Adelphi, pagine 246, euro 20, traduzione di Claudia Zonghetti). Primo Nobel russo, fermo oppositore del nazismo, Bunin non fraternizzò però con tutti i connazionali sull’ isola.
Si dice che mentre giocava a scacchi nel giardino di un resort caprese, Bunin chiese ad un cameriere della vodka ma questi gli rispose di averne servito l’ ultimo bicchiere a Lenin. «Lasciate che gli altri abbiano carisma, io mi accontento della classe», rispose lo scrittore, lontano dai moti bolscevichi al punto di arruolarsi nell’ Armata Bianca.
Al centro della vicenda del Signore di san Francisco c’ è un ricco americano che con moglie e figlia si imbarca per un lungo viaggio che, dopo Napoli, lo porterà nelle acque di Ischia, Procida, Capri.
Sulla nave si mangia in continuazione, ma la traversata non si mostrerà splendida, al signore americano gli italiani danno sui nervi, «è gentucola avida, fetida d’ aglio». Mentre sta per mettere piede a terra osserva la costiera amalfitana e nota «sotto una roccia incombente un mucchio di casupole così povere, intrise di muffa, appiccicate l’ una all’ altra proprio a pelo d’ acqua, accanto a barche, stracci d’ ogni genere, scatole di latta, reti marroni, che al pensiero che quella fosse l’ autentica Italia che lui era venuto a godersi, si sentì disperato».
L’ unica visione poetica è quella che coglie con il binocolo mentre sta entrando nelle acque partenopee, con Napoli che gli appare «come una spruzzata di zucchero alle pendici di una mole grigio-azzurra». Lo sbarco in città è però uno shock, «tra folle brulicanti, concierge scortati dai loro assistenti col berretto bordato d’ oro, intermediari d’ ogni sorta, ragazzetti sfaticati, accattoni robusti e pasciuti con in mano fasci di cartoline colorate desiderosi di offrire i propri servigi». Arrivare in albergo si rivela una fatica, e anche lì, al suo ingresso, una turba di guide si contende con modi selvaggi i turisti.
La vacanza napoletana è scandita da ritmi precisi. Dopo colazione subito in macchina, si attraversa una città «avanzando lenti lungo i corridoi stretti, umidi e affollati delle vie, fra case alte e piene di finestre», le mete sono i musei «di un nitore funereo, perfettamente, gradevolmente ma noiosamente illuminati da un candore di neve», o le chiese, «fredde e odorose di cera in cui trovare sempre le medesime cose: un ingresso maestoso chiuso da un pesante sipario di cuoio e, all’ interno, un vuoto enorme, il silenzio, le fiammelle del candelabro a sette bracci, mute e di un bel rosso vivo sullo sfondo dell’ altare coperto di trine; una vecchina solitaria fra i banchi di legno scuro, lapidi sdrucciolevoli sotto i piedi e una qualche Deposizione, inevitabilmente celeberrima».
Esiste una descrizione della Napoli dei primi del Novecento più sublime e spietata? Dopo poco meno di un mese tutti a Capri, accolti «dai soliti ragazzini e dalle donne con ai piedi zoccoli rumorosi». Qui il severo talento prende di mira la comunità dei suoi connazionali, all’ epoca composta da gente come Lenin e Gorkij: «sciatti e trasandati, con gli occhiali, le barbe lunghe e il bavero dei vecchi paltò ben rialzato». Sull’ isola azzurra il signore di San Francisco farà una brutta fine, raccontata fin nei minimi e macabri particolari da Bunin. Il suo corpo diventa un peso per tutti, soprattutto per la sua famiglia, che non sa cosa farne. Al rientro in America, ovviamente la salma non viaggerà comodamente in prima classe bensì nelle cantine, dove il rumore delle macchine e dei motori della barca rimbomba in maniera insopportabile.
Scrisse allora il critico Abraham Derman: «Oltre dieci anni ci separano dalle ultime opere di Cechov. Da allora, scartando le opere postume di Tolstoj, non c’ è stato nessuno scritto in lingua russa che possa essere paragonato al Signore di San Francisco per forza e significato».
Negli altri quattordici racconti Napoli e Capri compariranno ancora, di sfuggita o con una piccola parte da comprimari o sullo sfondo con le loro atmosfere trasportate in luoghi diversi, come in Una sera di primavera o in Il sacrificio. Su tutti emerge la potenza letteraria di Il respiro lieve, dove si intuisce uno dei temi più sentiti dallo scrittore, quella frenesia «di accogliere nel proprio cuore tutto il mondo visibile e invisibile prima di farne dono a qualcun altro» che si chiama amore, imparato a riconoscere, probabilmente, a Napoli. O forse no.