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Il rogo di Notre-Dame di Massimo Maresca

di Redazione
17 Aprile 2019
in Arte
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Seggiovia Monte Solaro

foto da Instagram

 

 

Notre-Dame de Paris”

questione di necessità

 

         Lunedì 15 aprile, il mondo intero è rimasto inorridito dalle immagini infuocate della cattedrale gotica parigina Notre-Dame. Dinanzi alle varie dirette televisive e online, tantissimi volti sono restati inebetiti e impotenti a guardare un grande pezzo di storia, arte, cultura e fede cristiana andare in fumo, come un candela di grosse dimensioni che arde senza sosta. Assistere all’incendio di qualcosa di così imponente e veder crollare la guglia di ben 45 metri, testimonianza stabile e solida di un tempo che fu, ha fatto scattare in tanti – soprattutto in coloro che ne hanno colto al momento la grave portata – sentimenti di pesante disagio e, forse, di disperazione, tanto che anche l’isola di Capri, meta di numerosi turisti di origine francese, si è stretta idealmente in quei frangenti attorno agli amici della non lontana Île-de-France.

         Questo evento drammatico ha inevitabilmente spinto qualcuno a riprendere tra le mani, o addirittura acquistare per la prima volta, il noto romanzo di Victor-Marie Hugo, pubblicato in Francia nel 1831 – e in Italia per la prima edizione nel 1867 -, appunto l’omonimo “Notre-Dame de Paris”. Nell’abituale conoscenza attraverso rappresentazioni teatrali, pellicole cinematografiche, film d’animazione e opere musicali, si perde inevitabilmente una perla di grande intelligenza custodita, ahimè, proprio nell’incipit alla storia, che inizia così: «Alcuni anni or sono, visitando, o per meglio dire rovistando all’interno di Notre-Dame, l’autore di questo libro trovò in un recesso oscuro di una delle torri, questa parola incisa a mano sul muro: Anankè». Questa parola greca porta in sé molte sfaccettature  che vanno dal semplice bisogno ad una vera e propria costrizione, oppure che vanno dall’inevitabile destino di morte a un più schietto motivo convincente. Insomma, viene da pensare che il termine greco Anankè non è certamente uno dei più chiari e secchi; possiamo, però, sintetizzare tutto questo in un concetto ampio e allo stesso tempo preciso: necessità.

Ciò che l’autore di “Notre-Dame de Paris” ha voluto lanciare come provocazione a scopo riflessivo non è stato tanto raccontare la storia di Quasimodo, principale protagonista del romanzo – zoppo, gobbo, deforme e con una verruca che gli copre totalmente un occhio -, o della bella Esmeralda, quindicenne orfana senza genitori e cresciuta in una comunità zingara. Hugo tenta di evidenziare la “necessità” che spinge le scelte e determina i cammini di ogni personaggio evidenziato nella storia. La necessità per Quasimodo di stabilire una relazione autentica con qualcuno; la necessità per Esmeralda di trovare stabilità nelle continue evoluzioni del suo stile di vita e, per giunta, in adolescenza; la necessità, ad esempio, per Frollo – arcidiacono della cattedrale destinato alla carriera ecclesiastica – di dissetare la lasciva passione per la giovane zingara. Ognuna delle figure dipinte in questo libro esprime senza veli una necessità cardine che dà colore e gusto alla particolarità delle rispettive esistenze.

È proprio sulle necessità che ci si dovrebbe seriamente interrogare, su quali siano gli elementi che spingono la vita quotidiana di ognuno, su quali mete insieme poter raggiungere. Probabilmente, tra le tante cose custodite nella splendida cattedrale parigina, non dovremmo mai perdere il polso delle nostre necessità, di quelli che sono i nostri bisogni, di ciò che diventa tanto convincente ai nostri occhi da spingerci anche oltre le nostre possibilità e che non può esentarci dall’esperienza di un destino nelle cui trame c’è anche la conoscenza sulla propria pelle della morte.

Alla splendida Parigi la nostra più profonda vicinanza con le mani tese, ma con la mente rivolta alle necessità che, in fin dei conti, fanno ciò che siamo e con le orecchie aperte alla grande verità che Victor Hugo precisa al termine del suo incipit: «Già da parecchi secoli, l’uomo che ha scritto questa parola su quel muro è scomparso dal novero delle generazioni, la parola, a sua volta, è scomparsa dal muro della chiesa, forse la chiesa stessa scomparirà ben presto dalla faccia della terra».

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