Da Redazione
Massimo Maresca
Conversazione con Gianni Catuogno.
È notorio che Capri sia piene di bellezze. Quali? Non è semplice a dirsi. C’è tanta bellezza che – per non disperderla in un atteggiamento di superficiale passaggio – si rende necessario, di tanto in tanto, approfondire.
«Quando rivedo una fotografia che ho scattato, mi accorgo che è proprio quella che volevo», così Gianni Catuogno, classe 1957, dà il la a una genuina chiacchierata per approfondire, per parlare intorno alla sua passione per la scrittura di luce, «nata all’età di quattordici anni, con le macchine fotografiche che avevano una lampadine usa e getta per il flash».
Percorrendo via Matermania, il colorito del suo volto di infiamma, non tanto perché parlare di sé gli dà un leggero disagio, quanto piuttosto per il fatto che descrivere e cercare di razionalizzare la “sua” passione lo accende di orgoglio. Ah… perché Gianni di mestiere non fa il fotografo.
«Ringrazio la tecnologia che oggi ci aiuta tantissimo», dice riferendosi al numero di scatti che si possono fare, lui che comunque preferisce scattare in manuale e tarare personalmente le impostazioni del suo strumento. «Quello che faccio, lo faccio per pura passione ma oggi, attraverso i social, una persona ha anche la possibilità di condividere il proprio pensiero con tanti altri, perché di pensiero si tratta», esclama Gianni con un sorriso che è tutto dire. «La fotografia è una scrittura, e ciò che scrivi è il tuo pensiero, la tua filosofia di vita», dice.
I suoi soggetti ricorrenti sono «i Faraglioni, la Marina Piccola, in pratica la zona di “Mulo” – dichiara -, cioè i luoghi dell’infanzia». La scrittura dell’arte fotografica si ferma sui luoghi che per primi hanno colorato la sua anima di bellezza, di luce, sulle sfumature che la terra e il mare di quella parte dell’isola di continuo rendono agli occhi di chi, per un attimo, vi si fermi e respiri. Sì… a Capri i colori di tanto in tanto vanno anche respirati. Con la bocca, perché col naso non ce la si fa.
Gianni porta con sé, sul braccio destro, la sua macchina fotografica – non proprio piccola – e a guardarlo sembra ricordare Linus, il personaggio dei Peanuts, con la sua copertina azzurra, oggetto del suo attaccamento emotivo. In quella macchina fotografica, strumento che Gianni porta sempre con sé, ce ne sono di emozioni e sentimenti. Sono quelli ad essere importanti, non l’aggeggio. «L’inquadratura è quella che vale, la scena», dichiara, senza sminuire comunque la necessità di macchine più professionali per foto che abbiano scopi differenti.
È appunto sul fine di tutto questo che la sua passione risulta interessante: «Le relazioni. Sono timidissimo, ma mi piace molto quando le foto diventano il motivo per cui gli altri interagiscono con me, per la strada e anche sui social». Si sbraccia Gianni nel confidare questo particolare, quasi rischiando di perdere la sua preziosissima coperta a forma di macchina fotografica. Si sbraccia di meno quando invece con delicatezza fa riferimento alla storia che – a pillole – scrive accanto alle foto che scatta, la storia di una sirena, un racconto incorso d’opera, tutta farina del suo sacco, che forse «un giorno potrebbe diventare una pubblicazione», dice.
L’esperienza di Gianni ha molto da insegnare a chi ama Capri, a chi lo fa attraverso gli interessi personali, non quelli macchiati da arrivismi o smanie economiche, ma quelli che giustamente preferiamo definire passioni. Sono esse, molto spesso, a rivelare chi siamo davvero e cosa possiamo dare alla terra straordinaria che ci ospita in segno di gratitudine, in segno di insufficiente contraccambio, in segno di approfondimento di qualcosa di grande che ogni caprese – consapevole o meno – ha il privilegio e la responsabilità di custodire.