Fonte: Gazzetta di Parma
di Stefano Spagnoli
Rassegnato a scordarmi per un po’ l’ agognato Tirreno, idealizzo una mia villeggiatura ideale non in quel di Lerici o Tellaro ma nella forse più ospitale, data la “quarantena”, isola caprese.
Ed è nella villa teutonica del Malaparte (oggi ancora dei cinesi?) che mi vedo felice ciclista sull’ enorme terrazza benedetta dal sole e dalla risacca.
Capri. Tediato ormai dagli abituali conversari spesso autistici e sopra ogni luogo dalla cianfrusaglia noire di tanta letteratura, mi rifugio spesso nella stravaganza di archivi minori. E proprio in uno di questi scaffali dimenticati mi scuote il lume ignoto di un insolito maestro. Un colloquio insperato e nutriente col dotto ed elegante ingegnere floreale Edwin Cerio nato a Capri nel 1875 e lit passato a miglior vita nel 1960.
Ottantacinque anni saggiamente vissuti in un’ epoca assai poco saggia. Mezzo irlandese e mezzo napoletano non abbandona il mare nemmeno per studiare. Si laurea nell’ antica e gloriosa Facoltà di Fisica dell’ Università di Genova. Per poi farsi ingegnere navale e come progettista di navi è talmente bravo da realizzare per Alfred Krupp intere flotte militari destinate ai paesi latino americani.
Con l’ Ansaldo genovese contribuisce alla notevole innovazione della nostra Marina impegnata nel primo imperdonabile conflitto mondiale.
I casi della vita e la salute malferma lo riportano negli anni ’20 a Capri dove ritrova le antiche energie con la stupefazione della bellezza.
Edwin non abbandona la sua genialità creativa e disegna per l’ isola benedetta case e ville stupende, disseminate in verdi miracoli architettonicamente elaborati con lirismo ed estro botanico sorprendenti. Fotografa arditamente fiori e fanciulle con ottima tecnica e sensibilità acuta quanto quella del mitologico Wilhelm Von Gloeden Scrive migliaia di pagine d’ amore sulla sua isola risanatrice e da quella collabora intensamente col dirimpettaio “Mattino” di Napoli. E non si risparmia nemmeno esasperando una vocazione botanica che supera decisamente le sue passioni per la zoologia e la paleontologia. Sfoglio il suo incantevole libro “Sulla flora privata di Capri. Alla scoperta di una vegetazione perduta” (l’ Ornitorinco – Collana Rizzoli diretta dal parmigiano Ippolito Pizzetti 1983). Una magnificazione coinvolgente degli aromi delle essenze non solo floreali di una Capri ormai dissolta in un turismo gretto ed ipernutrito, imparagonabile col salotto coltissimo ed esclusivo di un irripetibile passato. Musicisti, artisti, ideologi, scrittori, pensatori ed esploratori dello scibile in quell’ isola oggi ectoplasmica e semi inabissata nei gorghi della decadenza.
Edwin batte palmo a palmo l’ incanto azzurro e dorato di complice sole.
Classifica animali, insetti, rovine arcane e soprattutto fiori e piante. I pochi turisti di allora lo spiano, con divertito sospetto, ravanare tra le selve e le siepi selvatiche intorno alle ville che ospitavano i Massimo Gorki e gli Axel Munthe. Poi i vaganti diventano sempre più numerosi ed invadenti e coi tanti sbarchi comincia la lenta penetrazione di pollini e vegetazioni aliene. Piano piano Edwin assiste infastidito ad un meretricio vegetale che costringe l’ isola ad assumere una fisionomia arborea inconciliabile col suo passato. Cerio non sopporta che palme, eucalipti, bougainvillee e cactacee concorrano a violare l’ originaria tavolozza ed il puro profilo mediterraneo dell’ isola. Il suo libro è in pratica una risentita scomunica, ma al di là della botanica e morale sapienza, il volume si propone come un divertimento eccentrico e sostanzioso con una ricca messe di motti di spirito ed eccentricità lessicali di grande piacevolezza. Anche la severa condanna si risolve in un gag seriosamente surreale: “Ogni bella forma vegetale porta in sé un germe patogeno. La promessa di annientamento pare però che la natura non l’ abbia pensata ancora per la bougainvillea. Ma è possibile che non le destini una muffa, un verme, un coleottero? Si può sperare in una coccinilia che si stabilisca sui rami sarmentosi, ne succhi la linfa, un insetto introdotto appositamente dall’ America, che resista al “Coccinol”, si rida delle miscele arse niose, sfidi impunemente la nicotina. Esistono bravi, operosi parassiti che quando s’ attaccano ad una pianta non la lasciano, finché non le hanno succhiato l’ anima. Ci sarà certamente una coccinilia della buogainvillea. Bisogna avere fede nella coccinilia.
” L’ infestazione c’ è stata, e soprattutto umana, e non c’ è coccinilia che tenga. Tempo fa conciliando con un buon Garibaldi (spremuta di arancia e Campari) in piazzetta, superato con fastidio uno tsunami di piccolissimi giapponesi (né, né, né, né), non ressi alla bordata finale dell’ apparizione pagana di una delle più note intrattenitrici culinarie del regno. La più amata e più pagata dai televedenti. Spogliata dal suo bel sorriso artificiale col crine biondiccio e vagamente unto e l’ occhio scafato per il frignare di un marmocchio o per l’ imbranatura di due smarrite servantes. In sciatta tuta bianca e sporchina.
Corsi a rifugiarmi sul balcone della mia camera davanti ai Faraglioni. Il solito gabbiano aspettava le noccioline ed io ero felice di dargliele.
Oh luna, luna tu, luna caprese.
Ritornerai dopo la Grande Febbre ad illuminare le fantasie e i deliri degli eletti? Dei più meritevoli?