Fonte: Il Mattino
di Silvio Perrella
Lei quel museo lo conosceva a menadito: il susseguirsi delle sale, la scansione delle sale, i luoghi in cui sostare e perfino era in amicizia con alcuni dei custodi.
«Ci sai arrivare all’ isola del musei, vero? Ci vediamo all’ ingresso della Alte Nationalgalerie. Ti va bene al centro del pomeriggio?».
Ci sapevo arrivare e mi andava bene anche l’ orario, soprattutto perché un po’ vago. Per dire tutta la verità, al centro del pomeriggio avrei voluto incontrare Nefertiti, che se ne stava tutta sola in una sala di un altro museo contiguo. Ma ci saremmo potuti andare dopo. Dopo che Alessandra mi avesse condotto dinanzi al suo Friedrich preferito. Erano anni che lo studiava e aveva anche beneficiato di un recente restauro che ne aveva dissotterrato i «pentimenti».
Che bella parola! Si chiamano così le versioni sottostanti al quadro che noi vediamo: i dubbi della mente, i tentennamenti della mano, gli slittamenti dell’ immaginazione. I pittori, come i poeti, si avvicinano per tentativi alla forma necessaria. E di questi tentativi ci sono tracce negli strati sottostanti alla pittura che ha infine trionfato. E in quegli strati i ricercatori in camice bianco e mascherine avevano trovato addirittura dei velieri.
Ci sapevo arrivare, sì, ma quella volta avevo finito per perdermi. Ed ero arrivato in ritardo al vago appuntamento. Ma per fortuna Alessandra era ancora lì ad aspettarmi.
E anche la sala dei Friedrich non se ne era andata a navigare per i canali di Berlino. Ci fermammo dinanzi al «Monaco in riva al mare». E mentre Alessandra parlava, il mio sguardo si sgomentava perdendosi in quel vuoto volatile e vibrante. Una figurina vestita di nero in piedi su una scogliera e di fronte un mare inquieto, trafitto dai venti, schiumeggiante di onde.
«Guarda il cielo», m’ invitava la mia amica. Era corrusco, quasi tumefatto, affollato di nuvole maligne e soprattutto ampio, dilagante.
«Vedi, prende da solo i tre quarti del quadro».
Ci potevi stare all’ infinito lì davanti, ma proprio per questo, non so bene per quale movimento obliquo, forse per cercare una requie dello sguardo, sia Alessandra sia io eravamo finiti nella sala attigua. E lì luccicava un mare incorniciato da una Grotta.
«È la Grotta Azzurra, la riconosci?». La Grotta Azzurra a Berlino?
«Sì, fu un tedesco, August Kopisch, a battezzarla con questo nome e quello che vedi è un suo quadro».
Era un suo quadro, sì. Ne sapevo qualcosina, ma soprattutto quell’ immagine mi faceva tornare alla memoria un’ esperienza fatta qualche anno prima. Invitai Alessandra a mangiare un boccone in un locale che si apriva a un passo del museo.
Birra? Vuoi della birra? A me aiuterà a sciogliere la lingua.
Non ero solo quel pomeriggio. I tornanti che portano a Gradola ce li eravamo lasciati alle spalle, viaggiando su una corriera saltellante. E poi, dopo aver percorso una stradina, ci eravamo fermati «da Giovanni». Sedie a sdraio e lettini collocati sui terrazzamenti, un chioschetto, viavai di piattini e bicchieri, amici stesi a prendere il sole. Ci tuffammo.
Acqua profonda, intensa, luminescente, raggi luminosi a squadernarla. Sgranchirsi di braccia e di gambe.
Ampie prese di fiato. Nuotare, finalmente, distendendo a più non posso il corpo nell’ acqua. Quando fummo di nuovo in terraferma, uno degli amici ci disse: ma sapete che la Grotta Azzurra è qui vicino. Potreste andarci a nuoto, quando deciderete di farvi un’ altra nuotata.
Qui vicino? La Grotta Azzurra?
Non ne avevo idea.
Quanto vicino? Non tante bracciate, mi fu risposto. E fu così che quando ci rituffammo avevamo una meta. Non tante bracciate, sì, ma quante? Era come dire: ci vediamo al centro del pomeriggio. Una precisione vaga. Un’ indicazione ambigua. Ma affascinante.
Nuotavamo già da un po’ e il sole scendeva rapido e la Grotta Azzurra non l’ avevamo ancora raggiunta.
Andiamo avanti ancora un altro po’. Andammo, ma la nostra meta sembrava irraggiungibile. Cominciavamo a sentire qualche dolorino ai muscoli. Decidemmo di tornare, solcando il semibuio di un tramonto già avvenuto. Gli amici ci aspettavano sulla piattaforma. Erano visibilmente preoccupati.
Nessuna Grotta Azzurra, eppure abbiamo nuotato abbastanza, dicemmo.
Si guardarono tra loro e alzarono il sopracciglio, ma non dissero nulla. L’ essenziale era che fossimo tornati sani e salvi.
Passarono anni. Non sai mai, Alessandra, come il tempo passi.
Ma passa inesorabile, frusciante di desideri perduti, pronto a incenerire ogni cosa. Ma a volte misteriosamente torna su stesso. E di nuovo mi trovai a Capri. Ed era anche quella volta un pomeriggio slargato di possibilità. E a Gradola ci ero arrivato a piedi, venendo giù per sentieri che da Anacapri scoscendono così ripidi che mi era parso che il mio corpo si sarebbe presto ribaltato in avanti e sarei precipitato nel vuoto. Senza ancora saperlo, laggiù in fondo avevo un appuntamento, come quello con te oggi, sì, ma tanto diverso.
Vuoi altra birra? Credo sia necessaria, che ne dici?
Adesso sapevo che sarei potuto andare a piedi fin quasi all’ ingresso della Grotta. E lì e lì…
Non c’ era più nessuno e anche le imbarcazioni si erano come liquefatte nel mare. Silenzio interrotto dallo sciabordio delle onde. Intravidi una catinella che veniva giù dalla roccia e s’ infilava in una fenditura.
Mi tuffai. E, aiutato dalla catinella, aspettai l’ onda giusta per entrare.
Questa volta l’ Irrangiungibile era lì, ed era tutto buio.
Nuota, mi dissi, non farti intimorire. E nuotai in quel buio, fin quando l’ istinto mi disse di voltarmi. La luce mi aveva seguito e fino a quel momento mi era stata incollata alle spalle e adesso si diffondeva nell’ acqua. Era come Kopisch l’ aveva battezzata. Ma nel suo quadro, Alessandra, non compare Lei.
«Lei? Potresti essere meno vago?».
E come faccio? Sarebbe come definire con esattezza il cielo del dipinto di Friedrich che al centro del pomeriggio mi hai fatto vedere oggi.
Sarebbe come dare la parola alla figurina tutta nera dinanzi al frastuono silenziossimo del mare che tanto ti affascina. Saresti capace?
Posso solo dirti che quel tardo pomeriggio accadde nella Grotta Azzurra un insperato incontro.
«Tra chi?».
Tra chi ti parla e Leucosia. «Dici la Sirena?» Esatto, proprio Lei.
« E come hai fatto a capire che fosse proprio Lei?».
Per dirtelo ci vorrebbero tante altre birre. E adesso sai cosa vorrei tanto fare?
« Vorresti andare a salutare Nefertiti.».
Esatto. Ma a quest’ ora tutti i musei sono chiusi. E per noi è giunto il momento dei saluti.
Partirò domattina, cara Alessandra. Ci vedremo la prossima volta che passo da Berlino, se il Tempo e Nefertiti lo vorranno.

















