Fonte Il Mattino
di Ugo Cundari
Scrittore dalla potente immaginazione, Colm Tóibín trasforma in carne e sangue i suoi personaggi con una intensità tale da farli vivere nella mente del lettore anche a libro chiuso. Che sia Clitennestra, protagonista di La casa dei nomi, raccontata mentre confessa in un monologo tragico il piano per uccidere il marito, assassino della loro figlia. Che sia la giovane ragazza di Brooklin, romanzo pubblicato come il precedente da Einaudi, in cui lei lascia tutto e tutti per cercare, sola, la fortuna e l’ amore oltreoceano. A Tóibín, irlandese del ’55, è stato assegnato il premio Malaparte, arrivato alla ventiduesima edizione. Lo ritirerà a Capri domani alle 11 alla certosa di san Giacomo. Oggi, intanto, partecipa a una tavola rotonda sui segreti della scrittura dopo aver assistito alla proiezione del film tratto dal suo Brooklin.
Tóibín, da sempre impegnato per i diritti del mondo Lgbt, affronta spesso nei suoi libri il tema dell’ estraneità etno-culturale, con un incessante interrogarsi sulla sua identità di irlandese, su quanto il luogo di nascita, da cui a volte si scappa, riesca a condizionare la propria esistenza, a definire sé stessi. Indaga sul dolore, lui che pochi mesi fa ha lottato contro un cancro che dal testicolo si è esteso ai polmoni e al fegato.
Tóibín, che cosa significa essere straniero?
«Oggi esistono due categorie di stranieri. Ci sono quelli altamente qualificati, che parlano molte lingue e si muovono da un continente all’ altro senza problemi. Spesso sono le persone più richieste nel mondo del lavoro. Poi ci sono gli stranieri che hanno conosciuto la povertà, non hanno futuro se non correndo grandi rischi per spostarsi. Come gli irlandesi che durante la carestia del 1840 andarono a Liverpool o negli Stati Uniti. Come la gente in fuga dalla guerra in Siria. Come chi scappa dalla miseria per cercare una vita migliore nei paesi più ricchi».
Contro gli stranieri che rischiano la vita per spostarsi si sta diffondendo una nuova forma di razzismo?
«Chi vive in paesi ricchi e stabili ha come principali preoccupazioni la scelta del nuovo divano, il tipo di abbonamento a Netflix, la strada migliore per non trovare traffico, il parcheggio più comodo. Chi riuscirebbe a farli preoccupare di trovare una sistemazione a uno straniero, a chi ha la pelle diversa?
Non sono razzisti attivi, sono razzisti passivi».
Quanto conta il luogo di nascita nell’ identità di una persona? Lei si sente irlandese, pur vivendo tra Spagna e Stati Uniti?
«Sono irlandese. Sono gay.
Sono calvo. Appartengo alla mia terra, alla mia storia, come tutti alla loro, anche se a volte se ne dimenticano. Ci sono molte persone in Inghilterra che hanno radici in Pakistan.
Sono completamente inglesi ma faranno il tifo per la squadra di cricket pakistana.
L’ Unione europea vorrebbe che ci sentissimo europei, ma devo ancora incontrare chi abbia familiarità con queste radici».
È ancora necessario combattere per i diritti degli omosessuali?
«C’ è gente a cui non piacciono i gay o che non si preoccupano troppo dei loro diritti. Se poi conoscono un gay, cambiano idea. Ciò significa, penso, che più raccontiamo storie personali, maggiore sarà l’ effetto che noi, come persone gay, avremo».
Ha scritto un libro struggente sulla vita di Henry James colta nei momenti di maggiore sofferenza. Per scrivere bisogna soffrire?
«No, conosco tanti scrittori che sono felici, hanno una famiglia e una vita sociale. A me, però, la felicità come soggetto non interessa. La solitudine di James mi ha offerto immagini che hanno eccitato la mia immaginazione. La malattia può essere una buona fonte di ispirazione. Lo è stata per tanti».
Per esempio?
«Thomas Mann ha ricevuto La montagna magica dalla malattia. In Henry James la malattia di Ralph Touchett è essenziale per Il ritratto di signora, così come la malattia di Milly Theale essenziale per Le ali della colomba. In tempi più recenti, L’ uomo sposato e La sinfonia dell’ addio di Edmund White sono dei grandi libri sulla malattia».
Perché scrivere?
«Al mattino, nella grotta, i cacciatori uscivano, ma uno di loro rimaneva indietro per disegnare sulle pareti della grotta. Abbiamo bisogno delle immagini di noi stessi per vivere.
Senza queste, cosa saremmo?»