Fonte: Roma
di Domenico Levigni
Il mito di Capri come isola del sogno e dell’ amore ritorna in un altro film, “Ragazze da marito” (E. De Filippo, 1952), interpretato dai tre fratelli De Filippo. È uno delle tante pellicole italiane sulla vita privata degli impiegati statali: ci sono le quotidiane amarezze, la famiglia da mantenere e persino i momenti in cui sembra naturale cedere alle lusinghe della disonestà. Ma ci sono soprattutto le immancabili smanie per la villeggiatura, che culminano nelle sequenze mondane di Capri, di cui vengono sottolineate criticamente i facili costumi. Infatti, in un’ intervista rilasciata alla rivista cinematografica “Hollywood” (settembre 1952), Eduardo così descriveva il film all’ inizio delle riprese: “È una parabola borghese, e anche l’ ambiente sarà tale. Capri sarà la meno turistica e convenzionale, e perciò la meno stravagante, che ci possa attendere dallo schermo. Io, da regista, guarderò la mondanissima isola attraverso gli occhi dei miei personaggi e delle loro tre figliole: tre brave ragazze, cinque brave persone malgrado tutto. Come essi non riusciranno a penetrare nella Capri che sognano di conquistare, fatta di nababbi e di divi del secolo, così non riuscirò io con la macchina da presa, deliberatamente. La realtà che è riservata alla famiglia piccolo-borghese a Capri somiglierà a quella d’ una spiaggia casalinga e familiare: con in più, l’ amaro e la goffaggine di un’ avventura mancata. Molte famiglie del genere vanno incontro allo stesso inconveniente a Capri, ad ogni stagione estiva”. La villeggiatura, nei primi anni Cinquanta, è un privilegio di classe, riservata alle famiglie ricche e benestanti. Non esiste ancora la vacanza di massa, se non nella forma della gita domenicale nei litorali vicini alle città.
Due film come “Domenica d’ agosto” (Emmer, 1950) e “La famiglia Passaguai” (Fabrizi, 1951) ci mostrano il vero e proprio assalto che caratterizza le spiagge romane di Ostia e Fiumicino durante il caldo periodo estivo. Il primo, definito da Ennio Flaiano “un esempio di Neorealismo estivo”, propone la spiaggia come un simbolico recinto, una divisione tra i ricchi e poveri. Vengono evidenziati, infatti, i cliché tipici dei lidi dell’ epoca: da un lato il popolo, famiglie numerose accalcate sulla spiaggia a consumare il pranzo portato da casa, dall’ altro il ceto alto borghese, aristocratici e personaggi famosi che frequentano i ristoranti sul mare. Emmer fornisce un ritratto variegato della società dell’ epoca, concentrandosi su una multiformità di ceti e di età anagrafiche; ma, contemporaneamente, il suo racconto “a mosaico” conserva ancora la memoria della guerra che si vuole rapidamente lasciare alle spalle. In “La famiglia Passaguai”, invece, la stilizzazione umoristica e la gag diventano l’ unità di misura del racconto e conferiscono alla pellicola un ritmo realistico e vertiginoso, basato su alcuni oggetti e situazioni come il cibo, la sedia a sdraio, l’ ombrellone, la cabina (fonte di continui fraintendimenti) e la pratica dell’ interramento nella sabbia.