Fonte: Metropolis
di Marco Milano
Quasi quattro mesi dalla tragedia di Capri ma ancora non si conosce l’esatta dinamica dell’accaduto. Era il 22 luglio quando ci fu l’incidente a Marina Grande, costato la vita a un giovane autista e col ferimento di numerosi passeggeri. Le ambulanze, le lacrime, lo spavento, Emanuele Melillo – 33 anni pieni di voglia di vivere – spezzati in un agghiacciante silenzio. Poi il il tentativo di recupero della carcassa di un mezzo che ancora oggi non ci si spiega esattamente come sia potuto cadere dal tornante superiore verso il basso, l’autopsia sul corpo del povero Emanuele, le indagini, le attrezzature per sollevare quello che resta dell’autobus per consentire la ricostruzione dei fatti. Ancora nessuno sa cosa sia accaduto, non è stato ancora stabilito con esattezza cause e motivi dell’episodio. «Dopo i primi tentativi di sciacallaggio, in cui tentarono di attribuire le responsabilità dell’accaduto ad un malore o ad assunzioni di sostanze proibite, decaduti con i risultati dell’autopsia sul corpo del povero Emanuele, le cause ha scritto in un post sui social Marco Sansone, esponente sindacale dell’Usb, ritornando sulla tragedia del bus si concentrarono sulle condizioni di sicurezza della ringhiera di protezione, crollata al primissimo impatto col mezzo, e soprattutto sulle condizioni dell’autobus. Ed oggi, dopo tutto questo tempo, siamo ancora in attesa di conoscere i risultati della perizia. Emanuele è ormai diventato un simbolo della categoria degli autoferrotranvieri e del precariato, perché quanto accaduto a lui poteva accadere a chiunque altro, ed è anche per questo che abbiamo la necessità di avere verità è giustizia. Non ci fermeremo ha concluso Sansone nel suo post – fino a quando non avremo queste risposte».

















