Fonte: Il Mattino
di Ida Palisi
Lo scorso anno ha vinto il Premio Strega con il suo romanzo sul fascismo dal punto di vista dei fascisti, M. Il figlio del secolo e da sempre Antonio Scurati, napoletano d’ origine ma cittadino di Milano a tutti gli effetti, dove insegna Letterature contemporanee all’ università, interroga la Storia per trasformarla in letteratura. Alle prese con il secondo romanzo mussoliniano (in uscita a settembre) Scurati stasera è a Capri, piazzetta Tragara, per concludere il festival «Le conversazioni» con una riflessione sul potere, sollecitato da Antonio Monda.
Scurati, il potere è un tema che fa parte del suo dna di scrittore. Come lo affronterà?
«Rifletteremo sul potere dittatoriale nel confronto con quello in democrazia e su come le forme che credevamo consegnate a un passato tramontato per sempre, in qualche misura riecheggino nel nostro presente».
In quale modo secondo lei?
«Pur essendoci enormi differenze tra il fascismo e i movimenti populisti di oggi, ci sono anche alcune assonanze. Il tipo di leader che non precede le folle verso un obiettivo alto e lontano ma le governa seguendole, un passo dietro di loro, assecondandone gli umori e i malumori più viscerali, che oggi chiamiamo leader populista, è stato creato da Mussolini».
Si sente uno scrittore civile, che fa denuncia sociale?
«Penso che il valore civile della letteratura consista nel porla come strumento di conoscenza e che il romanzo sia il genere più democratico di tutti e aperto a chiunque. In questo consiste anche l’ effetto di denuncia sociale: non deve essere un intento preciso come quello perseguito da alcuni miei colleghi che scrivono instant book, pamphlet grossolani su argomenti solo apparentemente impegnati e militanti, ma scrivere dopo anni di impegno e di studio, generando conoscenza nel lettore e maggiore consapevolezza. Ricevo ancora centinaia di email su quale bruttura è stato il fascismo e su come io abbia aiutato a capirlo».
A proposito di brutture: come si fa a raccontare quella del nostro tempo?
«Non chiamandosi fuori, con quell’ atteggiamento di presunta superiorità morale e intellettuale, di condanna giudicante, per cui, ad esempio, i fascisti sono sempre gli altri, noi i più intelligenti, colti e giusti.
Invece bisogna capire che il fascismo l’ abbiamo inventato noi, siamo parte del quadro».
Come avviene per lei l’ incontro tra Storia e letteratura?
«È originario, a partire dall’ esordio quasi 20 anni fa con un romanzo storico (Il rumore sordo della battaglia) che raccontava il Rinascimento dal punto di vista della storia militare e dell’ avvento della polvere da sparo, con l’ inizio della modernità. Per me è sempre stata una reciproca impollinazione tra ricerca storica e creazione letteraria. Il lavoro dello studioso, dell’ insegnante, e dello scrittore si sono travasati l’ uno nell’ altro».
In «Il bambino che sognava la fine del mondo» del 2009 parlava di un’ Italia che si sentiva minacciata dal contagio della paura. È un po’ quello che sta succedendo adesso?
«Assolutamente sì. Obama ha detto che faremo prevalere la speranza sulla paura. Se si dovesse definire cosa è stato il fascismo, direi un movimento che ha scoperto che esiste una passione politica più potente della speranza, attorno a cui ruotava il socialismo, e che questa passione è la paura. La continua propaganda sulla paura del futuro, della rivoluzione, del cambiamento, questa è stata la chiave della conquista del potere».
Una grande responsabilità sembra attribuirla ai mass media: anche per lo stravolgimento sociale portato dal coronavirus?
«Ogni fermento catastrofico è un potentissimo strumento di efficacia sensazionalistica, dalle previsioni del tempo che ci dicono che giorni infernali ci attendono, fino al racconto terrificante dell’ epidemia piuttosto che di un conflitto o del terrorismo.
La guerra vende. In fondo Mussolini prima di essere un efficacissimo leader politico è stato un formidabile giornalista».
Cittadino onorario di Ravello, ora a Capri. Che rapporto ha con questi luoghi?
«È un legame delle origini molto forte, per me sono i posti del ritorno e quelli a cui devo il mio sviluppo spirituale e culturale. Anche se non ho mai scritto un romanzo ambientato qui, credo che molta parte della creatività e del mio estro siano legati a loro».

















