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Addio Piccoli, gigante del cinema che girò ‘Il disprezzo’ a Villa Malaparte

di Redazione
19 Maggio 2020
in Spettacoli
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Seggiovia Monte Solaro

Fonte: Il Mattino

di Titta Fiore

Jacques Daniele Michel Piccoli. Ma nella sua lunga carriera da più di duecento film, Piccoli è stato, come pochi, un alfiere del cinema europeo. Un protagonista di quella stagione ricca e piena che, nella seconda parte del Novecento, ha dato vita alla Nouvelle Vague francese e a tanto cinema d’ autore italiano e lo ha spinto a recitare anche con maestri spagnoli, portoghesi, inglesi, giorgiani, ovunque lo portasse la sua curiosità intellettuale.

E non a caso è stato l’ ex patron del Festival di Cannes, l’ amico Gilles Jacob, a dare ieri la notizia della sua morte, avvenuta sei giorni fa, a 94 anni, per un’ emorragia cerebrale, in accordo con le volontà della famiglia e in omaggio a quel tratto di riservatezza che ha caratterizzato, in ogni occasione, la vita e la personalità di un attore leggendario.

Mamma pianista e papà violinista di origini ticinesi, Michel Piccoli era nato il 27 dicembre del 1925 a Parigi nel XIII arrondissement, quartiere orgogliosamente operaio che sarà per lui una palestra di impegno politico e sociale, subito avviato dalla sensibilità dei genitori a coltivare un talento artistico precocissimo. Sulle tavole del palcoscenico imparò i segreti del mestiere da maestri del calibro di Jacques Vilar, Peter Brook e Patrice Chéreau e al teatro restò sempre legato, ma la sua fisicità prorompente e la duttilità delle performance lo portarono ben presto ad affermarsi nel cinema, al fianco di grandi intellettuali della «rive gauche» come Sartre, Simone Signoret e Juliette Gréco, che è stata per undici anni la sua seconda moglie e diceva di lui: «Non sono mai riuscita a penetrare nell’ enigma Piccoli».

Se Renoir e Delannoy, tra i grandi, lo tennero a battesimo, fu Luis Bunuel a fargli da mentore affidando, a lui che era ateo, il ruolo di un prete in «La selva dei dannati». E se Jean-Luc Godard gli diede la popolarità internazionale affiancandolo a Brigitte Bardot nel film «Il disprezzo», girato tra le architetture affilate di Villa Malaparte e il mare di cobalto di Capri, se Bunuel lo consacrò in «Belle de jour» accanto a Catherine Deneuve, e poi nel «Fascino discreto della borghesia», fu Marco Ferreri a fare di Piccoli uno dei suoi attori-feticcio in ben nove film, dai capidopera «Dillinger è morto» e «La grande abbuffata», che scandalizzò Cannes, a «L’ ultima donna» e «Come sono buoni i bianchi». «Aveva talento, umorismo e amava il mio fondoschiena», ha twittato l’ ottantacinquenne B.B.

dal buen retiro di Saint Tropez, memore di un celebre dialogo del loro film di culto: «Abbiamo condiviso una grande stima reciproca. L’ ultimo spruzzo della Nouvelle Vague ha prevalso lasciandomi sola sulla spiaggia abbandonata».

Alto, imponente e sornione, Piccoli piaceva alle donne e le donne gli piacevano. Con eleganza ne aveva parlato nell’ autobiografia scritta a quattro mani con Jacob nel 2015, Ho vissuto nei sogni. E per la Bardot aveva avuto parole di vero affetto: «Non era un diva capricciosa come ci si poteva aspettare.

Ero sbalordito dalla sua innocenza e spontaneità. Era molto disciplinata nel lavoro, puntuale, conosceva le sue battute a memoria.

Ed era di buon umore». Sempre in quelle pagine aveva ammesso per la prima volta la passione che lo aveva legato a Romy Schneider: «Abbiamo avuto entrambi la debolezza di lasciarci andare a gesti non sempre onesti, ma che non hanno mai distrutto l’ amicizia che nutrivamo l’ uno per l’ altra».

Accanto, fino all’ ultimo giorno della vita, ha avuto la terza moglie Ludivine Clerc e i due figli Inord e Missia, adottati con lei in Polonia.

Interprete di sfumature che gli consentivano di passare con disinvoltura dal polar alle introspezioni della Nouvelle Vague, non c’ è stato autore che non l’ abbia voluto sul set, da Costa Gavras a Chabrol, da Berlanga a De Oliveira, maestro in anni crepuscolari accettati con sapiente malinconia. Con «Salto nel vuoto» di Bellocchio Piccoli vinse come miglior attore a Cannes, con Hitchcock recitò in «Topaz» e in Italia tornò, già ultraottantenne, per interpretare sotto la guida di Nanni Moretti il ruolo di un Pontefice che rinuncia al soglio di Pietro nel profetico «Habemus Papam». «È stato un grandissimo privilegio lavorare con lui» ricorda il regista, «una di quelle fortune che capitano una volta nella vita. L’ avevo incontrato sul set di Peter Del Monte e nel 2009 partii per Parigi con il vestito bianco del Papa dentro una valigia».

Non per fargli un provino, naturalmente, ma per capire se quell’ attore monumentale avesse voglia di mettersi ancora una volta alla prova recitando in italiano. Piccoli non glielo fece ripeter due volte. Fu disponibile e generoso, racconta Nanni: «Per noi spettatori è un grande dolore, se ne va un gigante del cinema e del teatro».

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