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A Rachel Cusk il premio Malaparte a Capri: «Scrivo di femministe che odiano le donne come gli uomini»

La scrittrice inglese di origini canadesi riceve stamattina a Capri il Premio Malaparte 2024

di Redazione
7 Ottobre 2024
in News
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Seggiovia Monte Solaro

Fonte: Il Mattino.it – 6 ottobre 2024

di Ugo Cundari

Si può essere femministe in tanti modi, si possono difendere i diritti delle donne usando parole e concetti poco usuali come fa la scrittrice inglese di origini canadesi Rachel Cusk, le cui opere sono tradotte in italiano per Einaudi, che oggi alle 11 alla certosa di San Giacomo a Capri ritira il premio Malaparte dopo aver tenuto il suo discorso di ringraziamento. Con lei, ci sono la curatrice del premio Gabriella Buontempo e il responsabile organizzativo Andrea Kerbaker.

Quale è la sua idea di femminismo, Cusk? 
«A volte il femminismo sembra implicare una critica così radicale dei modi di essere femminili che ti si potrebbe perdonare se pensi che una femminista sia una donna che odia le donne, le odia perché sono così remissive. E poi, si suppone che una femminista odi gli uomini. Rifiuti la soggezione fisica e affettiva che pretendono. Li consideri nemici, e si regoli di conseguenza».

In che modo? 
«Non si farà trovare sulla scena del crimine, per così dire, a ciondolare in cucina, nel reparto maternità, ai cancelli della scuola. Questa donna è convinta che la “donnità” sia una frode, fabbricata da altri a proprio vantaggio, che donne non si nasce, lo si diventa per mano altrui. Così sta alla larga da padelle e pannolini come l’alcolista si tiene lontano dalla bottiglia».

Il suo discorso sul femminismo si lega alla sua idea di letteratura? 
«Io dico che la creatività femminile può mettere a frutto le esperienze tipiche della donna».

Si spieghi meglio. 
«La maternità e le cure domestiche sono strumenti molti utili alla creatività femminile, esperienze intense dalle quali far nascere storie e racconti, ne parlo molto nel mio nuovo libro, Parade, ancora non uscito in italiano».

Tra le figure sulle quali riflette c’è la donna lavoratrice colta nei suoi tormenti. 
«La madre lavoratrice denigra quotidianamente il ruolo previsto per lei nei miti fondativi della civiltà. Non c’è da stupirsi che sia piuttosto tormentata. Ogni giorno tenta di sfidare il suo rapporto profondamente interiorizzato con la gravità. Ho letto da qualche parte che c’è sempre una stazione spaziale in caduta lenta vero la Terra, e che a intervalli di pochi mesi bisogna lanciare un razzo perché la risospinga al suo posto. Allo stesso modo, una donna è costantemente attratta da un’impercettibile forza di conformismo biologico, la sua vita è implacabilmente iterativa, richiede energia per restare in orbita. Ci resterà, anno dopo anno, ma se una volta il razzo non arriva, cade giù».

Crede nel femminismo degli uomini? 
«Un uomo femminista è un po’ come un vegetariano, si batte in difesa di un principio umanitario, suppongo».

A proposito di scrittori che hanno capito le donne lei è molto chiara. 
«D.H. Lawrence in L’arcobaleno, che definisco un “libro verità”, sa bene come dare corpo alla donna nella sua forma più prosaica, più universale, più riconoscibile».

Scrittrici che non hanno capito la donna, o l’hanno fraintesa? 
«Elizabeth Gilbert nel suo best seller Mangia, prega, ama si esibisce nel culto comico della personalità femminile, stesso discorso vale per Il diario di Bridget Jones di Helen Fielding, lo dico a rischi di sembrare poco dotata del senso dell’umorismo. Il punto è che se alleggerisci troppo la questione, se ci giochi, allora la battaglia diventa più difficile. L’ironia spunta le armi più affilate».

Nei suoi ultimi romanzi ha provato a trovare una sua voce scrivendo storie senza centro, con mille biforcazioni. 
«La vita è così, e per raccontarla la forma del romanzo classico risulta datata». 

Non teme di spiazzare il lettore? 
«Lo spero, è il mio obiettivo. Rendere difficile la vita al lettore è una virtù. Al di là di una mancanza di centro attorno cui gravitano le mie storie io do anche poche informazioni, è il mio modo di rispettare il pubblico, sperando che poi chi mi legge si informi da solo, faccia qualche sforzo. Non cerco il lettore passivo e chi ama le storie facili, queste si trovano già nei romanzi tradizionali. Quel che conta è il patto tra scrittore e lettore in cui il secondo si impegna nella sospensione dell’incredulità. E poi, anche in questo caso, so a cosa vado incontro, come lo sapeva D.H. Lawrence».

Cioè? 
«Lui sapeva che l’originalità e la verità saranno sempre e comunque respinte dall’opinione comune. Era all’individuo che lui si rivolgeva, perché è come individui che leggiamo, e lo stesso faccio io».

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