Fonte: Il Mattino
di Antonio Menna
Fate un esperimento. Prendete il telefono e provate a prenotare un ristorante a Capri usando la lingua italiana. Sarà difficile. Vi risponderanno solo in inglese e probabilmente dopo qualche convenevole chiuderanno la conversazione. Non ci saranno tavoli liberi per voi, scommettiamo? Non ci sarà spazio. Non si fitta ai meridionali, si scriveva negli anni Cinquanta sulle case delle grandi città del nord. Non si prenotano ta- voli agli italiani nei locali dell’isola azzurra, si potrebbe dire oggi. Meno che mai ai napoletani, per non dire dei capresi. Non è una discriminazione etnica, ovviamente. Ma l’irresistibile odore dei soldi. Si parla inglese, nelle recep- tion dei migliori hotel, o per le prenotazioni dei locali. Fingersi stranieri, per far immaginare ricchezze. Potrebbe essere questo il trucco. Niente taxi ai residenti, quelli che conoscono le strade, e le tariffe. Meglio i paperoni americani, che puoi portare a zonzo come ti pare, e scuciono divertiti mance senza risparmio. Qualcuno salvi Capri da se stessa, in questa estate famelica dai prezzi pazzi, prima che si trasformi definitivamente in Dubai. Come un paziente obeso che non riesce a smettere di mangiare, l’isola azzurra sembra sempre più schiava di una bulimia turistica: ingoia troppa gente con troppi soldi; non c’è più un caprese nei ristoranti e negli stabilimenti balneari, dove il mare costa più dello champagne. I ricconi di tutto il mondo hanno trasformato Capri nel loro luna park: arrivano con yacht super accessoriati o scendono nei più costosi hotel, e a colpi di contante generano una dinamica sui prezzi e sugli spazi, sui mezzi e sui riti, sui locali e sui tavoli, sui lidi e sugli spostamenti che rischia di rubare anima e identità ai luoghi, sottraendo l’isola agli isolani, ma anche al turismo più attento al paesaggio, alla grande bellezza, la trasforma culturalmente e perfino nelle sembianze, come un lifting riuscito male, togliendo Capri da Capri, facendola di plastica, come un paradiso fantoccio, uno studio del cinema americano, la location di un film trash senza poesia. Capri e non più Capri. LA PROFEZIA Sembra profetico, alla luce di quello che sta avvenendo questa estate sull’isola, quel libro del 1991 di Raffaele La Capria, che quello scoglio con abitanti lo conosceva bene e ne denunciava, già anni fa, lo smarrimento. La “Capri” amatissima, quella dei fondali e della piazzetta, del turismo elegante mescolato agli abitanti, dell’alto e del basso che si contaminavano a vicenda, e la ”non più Capri”, già allora soffocata da circuiti turisti ci che rischiavano di svuotarla di senso. Chissà cosa scriverebbe oggi, La Capria, di fronte alle orde di americani non più i russi, zavorrati dalla guerra con le tasche piene di soldi, che attaccano la poesia di un luogo che ha sempre avuto la sua forza nella capacità di tenere insieme popolo e nobiltà, natura e lusso, semplicità e classe, localismo e cultura internazionale. I valori sembrano tutti azzerati. Come una Miami qualsiasi, Capri dimentica di essere bellissima e rischia di essere finta. A dirlo, sono innanzitutto i residenti e i frequentatori abituali, cioè chi la ama. Chi ha casa sull’isola, chi non l’ha mai abbandonata. Che succede alla nostra Capri, si chiedono sbigottiti? LA GRANDE ABBUFFATA Quest’anno, più degli altri, l’isola sembra in preda a un delirio da grande abbuffata. Sorridono gli operatori, un po’ meno i lavoratori, pur contenti di tanta gente, e quindi tanta occupazione. Ma non sorridono affatto i capresi e chi Capri l’ha amata anche nei problemi, nelle crisi, nelle ombre, nelle difficoltà. Meno vivibilità, overtourism insostenibile, caos, costi altissimi. Non si trovano case in fitto e non si trovano stanze a prezzi adeguati, i servizi pubblici sono in crisi e quelli privati sembrano impazziti e fuori controllo. Cornetto e cappuccino al bancone di un bar costano 10 euro. Ai tavolini non ci si può nemmeno accostare. Una giornata in uno stabilimento, con un arredo minimo (ombrellone e due lettini) arriva a costare oltre cento euro, e altrettanti per bere e per mangiare. Mare, bene di lusso. La parola barca non si può nemmeno pronunciare: impossibile fittarne una a costi non scandalosi. Il risultato è che, venduta l’anima al denaro, l’isola ha perso energia, personalità, carica, tipicità, e potrebbe finire con il divorasse se stessa, le ragioni che l’hanno resa così famosa. Si è smembrata la comunità, si fatica a costruire riti collettivi. Giocano solo i ricconi che parlano inglese, e ormai lo fanno tra loro, con una sorta di moderna colonizzazione che trasforma una notizia positiva, co- me il boom turistico, in una negativa, come la trasformazione di un paradiso naturale in un divertimentificio artificiale e caotico. Capri e non più Capri: di questo passo, divorata e resa irriconoscibile, anche chi oggi la compra, poi se ne stancherà, lasciando ossa e polveri a chi poi, per vero amore, oggi espulso, domani ricostruirà.


















