Secondo i legali dei datterai che avrebbero provocato danni ai faraglioni con le loro attività illecite, non sarebbe ipotizzabile il reato di disastro ambientale. Lo spiega questa mattina un articolo di Metropolis.
Fonte: Metropolis
di Tiziano Valle
«Non si può contestare il reato di disastro ambientale se su un tratto di costa enorme si effettuano rilievi su una minuscola porzione di roccia». E’ la tesi della difesa del datteraio stabiese Catello Avella, finito nei guai nell’ambito dell’inchiesta condotta dalla guardia di finanza di Napoli su un’organizzazione criminale che – secondo l’accusa – faceva affari con la commercializzazione dei preziosi mitili. Per Avella è stata chiesta una condanna a 12 anni di carcere nel corso del processo con rito abbreviato che si sta svolgendo a Napoli, davanti al gip Emma Aufieri. Ma nella giornata di ieri la difesa, rappresentata dagli avvocati Raffaele Attanasio di Pompei e Francesco Tiriolo, ha provato a smontare le accuse della Procura, che ha ricostruito come la banda dei datterai avesse estratto i mitili anche dai Faraglioni di Capri. La difesa, sulla scorta di una sentenza della Cassazione che ha definito la differenza tra i reati di disastro ambientale e inquinamento, ha contestato la relazione firmata dai consulenti della Procura. In sostanza, la tesi dei legali di Avella è che se i l danno è reversibile non si può contestare il reato di disastro ambientale. E per rafforzare questa posizione, la difesa ha portato dei calcoli matematici relativi alle aree che sono state analizzate dai tecnici. «E’ come se su una parete di 40 metri di lunghezza per 6 metri di altezza avessero fatto verifiche su mezzo centimetro. Come si fa a configurare il reato di disastro ambientale?», hanno tuonato gli avvocati. La difesa ha contestato anche l’accusa di truffa ai danni dello Stato mossa nei confronti di Avella, in quanto percettore di reddito di cittadinanza. In sostanza, secondo i legali, l’accusa non avrebbe fornito alcuna prova riguardo al fatto che Avella non potesse richiedere il sussidio dello Stato. La prossima udienza è in programma il 31 gennaio ed entro quella data potrebbe arrivare anche la sentenza. Un’inchiesta analoga sul business dei datteri di mare è stata condotta anche dalla Procura della Repubblica di Torre Annunziata. Alla sbarra ci sono 20 persone accusate di far parte di una banda, con base a Castellammare, che estraeva i datteri dalle rocce e li vendeva a singoli clienti o ristoranti, anche di un certo prestigio. La Procura contesta un danno da oltre 30 milioni di euro provocato a un tratto di costa che va da Castellammare fino alla penisola sorrentina.