dI Luigi Lembo
Capri si è sempre distinta nel tempo con organizzazioni dedite all’assistenzialismo e alla cura delle fasce più deboli della popolazione. Basta ricordare quanto avvenne già all’indomani della peste del 1656 per le vedove e gli orfani della pandemia. Bisogna aspettare però alla seconda metà dell’ottocento per trovare associazioni legalmente costituite e sufficientemente organizzate. La più longeva, costantemente attiva ancor oggi, è senza dubbio la Società operaria di Mutuo Soccorso. Un prezioso libretto edito in occasione dei 130 anni di vita della Società Isolana racconta nel dettaglio l’encomiabile attività dell’ente che, escluso il periodo della seconda guerra mondiale, si è sempre distinta per una costante attività assistenzialista e di tutela sociale. Le società di Mutuo Soccorso Italiane si ispiravano al motto garibaldino “l’unione fa la forza” e le prime nacquero proprio nel napoletano per poi estendersi in tutt’Italia. Lo slogan riassumeva la consapevolezza che animava i primi patrocinatori delle organizzazioni dei lavoratori dell’Italia post-unitaria, che solo attraverso l’associazione i ceti popolari avrebbero potuto usufruire dei diritti che il nuovo Stato garantiva loro. Le Società di Mutuo soccorso (SMS) vennero ufficialmente istituite con la Legge 3818 del 15 aprile 1886 ma già da tempo operavano attivamente sul territorio organizzazioni come quella caprese. La società Caprese fu fondata nel 1883 col nome “Fratellanza e Lavoro” nella sede dove ancor oggi risiede ossia al secondo piano dell’edificio adiacente il campanile della Piazzetta. I soci, che pagavano una lira al mese, fruivano di contributi in denaro in caso di malattia e i medici della società prestavano gratuitamente le loro cure. Quando uno degli associati moriva i compagni si riunivano, come dice Money, davanti al cimitero per assistere al suo interramento devolvendo una cifra fissa alla famiglia. Nel 1884 fu inaugurata la bandiera, stabilendo che in tale ricorrenza, ogni anno fossero offerti a quindici poveri isolani pane, pasta formaggio e vino. La dirigenza era composta sempre da persone che avevano un ruolo di rilievo nell’amministrazione del Paese. Il primo presidente fu il Dott. Gustavo Rispo seguito poi da Vincenzo Serena, impiegato comunale, che fu anche il primo medico della Società. La presidenza all’epoca era a vita e Serena la resse per quarant’anni. I vicepresidenti erano Arcangelo Trama, carpentiere e corniciaio con il celebre negozio lungo via Hohenzollern (futura via Vittorio Emanuele) e Manfredi Pagano , primogenito dell’albergatore Michele. La segreteria era retta da Antonio Russo, tenutario della filiale caprese del Lotto. Antonio tra l’altro era uno dei pochi isolani che avesse all’epoca un minimo di istruzione e faceva pesare questo suo ruolo aiutando chi rimaneva senza lavoro o peggio, s’era messo nei guai in qualche modo. Personaggio essenziale per la gestione della Società era poi il tesoriere, ruolo assunto da Giuseppe Federico detto “o’ Truglio” essendo proprietario di vari terreni tra Capri e Marina Grande. O Truglio era anche proprietario di un paio di battelli a vela latina che facevano la spola tra Capri, Torre del Greco e Torre Annunziata adibiti al trasporto di ogni genere di prima necessità, dalla farina ai massi di tufo. Nel tempo la Società rappresentò il fulcro della crescita sociale del territorio e non solo con una miriade di iniziative che videro coinvolti illustri personaggi , da Cerio a Clark a Jerome che nel tempo offrirono le loro competenze al’Ente. Come spesso accade un Ente così attivo divenne trampolino di lancio di molti politici che si alternarono alla gestione del Comune di Capri. Nel 1945 la DC fece domanda per aprire la propria segreteria proprio all’interno sede sociale della Società, fatto che fu subito rigettato in nome dello spirito apolitico degli associati. Ma se nulla si pote fare all’interno della sede, discorso diverso fu per la terrazza affacciata sulla piazzetta utilizzata spesso per comizi politici che, se da un lato davano blasone a chi parlava da tale palcoscenico, dall’altro produceva relatori quasi sempre afoni a fine discorso per la difficoltà stessa di farsi sentire da tale altezza.