di Luigi Lembo
“Apudinsulam Capreae sveterrima ilicis demissosiam ad terram languente squeramos convaluissea dventu suo, adeolaetatus est ut eascum re publica Neapolitanorum permutaverit, Aenaria data.” Così scrive Svetonio nella sua “Vitae Caesarum” raccontando di un vecchio elce rinsecchito che riprende inaspettatamente vigore all’arrivo dell’imperatore Cesare Ottaviano Augusto nell’isola di Capri nel 29 a.c.e che tale favorevole presagio lo convincesse a sottrarre l’Isola al dominio di Napoli per portarla sotto quello di Roma Imperiale. La leggenda, che vuol attribuire l’evento a un miracolo, nasconde molto probabilmente la furberia degli abitanti di Marina Grande ad aggraziarsi le benevolenze di un personaggio subito amato per la sua semplicità, per le sue buone maniere e, soprattutto, per i moltissimi benefici che avrebbe apportato al territorio.Pur non conoscendo i dettami di quello che oggi chiameremmo marketing turistico, i nostri antenati ne fecero di questo un simbolo che divenne fino al 1500 il gonfalone stesso della città. L’elce fiorito con la scritta “Caesaris praesentia floret” era sostanzialmente il miglior messaggio promozionale per indicare una località baciata dalla fortuna dove anche gli uomini potenti come gli imperatori trovavano positivi presagi . L’uso dell’elce durò fino al 1600 allorquando i Capresi ritennero più giusto dedicare il proprio stemma a un personaggio che più di Augusto aveva dato loro soddisfazione. Si trattava di quel San Costanzo che era diventato difensore dell’Isola dagli attacchi saraceni e che rimane ancor oggi raffigurato nel simbolo della nostra città.Pur se era un evento riconducibile a seicento anni prima, il culto del Santo era diventato così predominante da surclassare qualsiasi imperatore romano. Per chi non conosce la storia, l’episodio che spinse i Capresi ad acclamare San Costanzo patrono dell’isola avvenne nel 991 d.c. In quel periodo le coste del centro e sud Italia erano continuamente infestate dalle incursioni di pirati saraceni che, partendo dalle loro basi in Sicilia devastavano le coste del Tirreno. In particolare uno dei loro capi, il pirata Boalim saccheggiava in sequenza Positano, Maiori e Minori; Capri sembra destinata a diventare inesorabilmente una delle ‘tappe’ per rimpinguare il bottino del pirata, come già successo in passato. Difronte al terrore della popolazione , solo un’anziana donna rimase tranquilla nella sua casa ad aspettare il nemico invocando l’aiuto divino. All’improvviso una visione: due creature, San Costanzo e San Severino (allora patrono di Capri) le si presentano e la rassicurano sulla sconfitta dei saraceni. La vecchia prende coraggio ed ha subito la sensazione di sentire, come tutti gli altri paesani, dei suoni di tromba provenire dalla chiesa di San Costanzo. Ecco che una improvvisa tempesta sconvolge il mare e il cielo attorno all’isola e la flotta di Boalim, presa dal turbine degli eventi, si ritrova scaraventata sulle coste della Lucania. Comprenderete quindi che difronte a tanta grazia il povero Severino fu “ scalzato “ dal ruolo di Santo Protettore con il più dotato San Costanzo che, come detto fu scelto poi come simbolo stesso della città.Ritornando al nostro stemma va notato che il Santo è inserito all’interno di uno scudo. Una particolarità è la forma dello scudo detto secondo la terminologia araldica “polacco”. Lo scudo polacco, non molto comune, è caratterizzato dalla presenza di sette sporgenze, tre per ciascun lato e una al vertice inferiore. Presenta inoltre due rientranze per ciascun fianco.La descrizione ufficiale è depositata in un DPR del 28 gennaio 1938 che così lo descrive : “D’argento, alla figura di San Costanzo, benedicente, vestito alla bizantina, con sopravveste di verde cupo ed aureola, avente nella mano sinistra un pastorale d’oro. La corona murale è dorata, come da definizione di città. Il Gonfalone è invece un drappo troncato di bianco e di verde “Ben più semplice è infine il rapporto con lo stemma dell’altro comune isolano: Anacapri. Qui lo stemma civico non si riferisce a nessun protettore ma rappresenta solamente una capra che sale su una scala a pioli, metafora dell’animale associato al nome dell’isola e della scala che è stata per secoli l’unico collegamento alla parte alta di Capri. (Ana = sopra in lingua greca + Capri).